ABBAZIA DI VALVISCIOLO

ABBAZIA DI VALVISCIOLO

Coordinate GPS: 41.567944,12.981259

Descrizione

L’abbazia dei Ss. Pietro e Stefano, situata ai piedi del monte Corvino, tra le antiche città di Carpineto Romano, Ninfa e Sermoneta, venne eretta in un territorio compreso tra i domini della Chiesa e i confini del Regno di Sicilia e pertanto di grande importanza strategica [Fig. 1]. La sua fondazione dovette essere funzionale sia a una politica di rafforzamento dell’autorità papale in quei territori, sia allo sviluppo del processo politico, culturale ed economico in atto tra Campagna e Marittima (De Sanctis 1999, pp. 163-174). In quest’ottica, acquista particolare rilevanza la scelta dell’ordine cistercense quale congregazione monastica a cui affidare l’edificio.
La ricostruzione della storia dell’abbazia sermonetana presenta numerose difficoltà dovute sia alla lacunosità dei documenti superstiti sia alla mancanza di accurati e aggiornati studi in merito.

Una delle questioni principali riguarda l’origine della sua denominazione. Nelle immediate vicinanze del complesso, infatti, rispettivamente nei territori di Carpineto Romano e di Ninfa, sorgevano in precedenza altre due abbazie di proprietà cistercense, denominate l’una Valvisciolo e l’altra Marmosolio, entrambe dedicate a santo Stefano. Non molto distante da Ninfa si trovava inoltre un cenobio di origine benedettina, dedicato a santa Maria. In un atto di donazione del 1154 (Cristino 1992, p. 192) il cardinale Ugo, vescovo di Ostia e Velletri e appartenente all’ordine dei Cistercensi, assegnò questo monastero a una nuova comunità di monaci suoi confratelli, provenienti probabilmente da Fossanova; costoro aggiunsero al nome del monastero quello del loro santo protomartire Stefano. Il monastero di Marmosolio ebbe però vita breve: intorno al 1165, infatti, a causa delle guerre tra Alessandro III (1159-1181) e l’imperatore Federico I Barbarossa, il complesso fu distrutto e i monaci costretti alla fuga. In seguito a questo episodio la comunità di Marmosolio si trasferì a Sermoneta (1165-1168) in un monastero dedicato a san Pietro. Quale fosse l’origine e la storia di questa fondazione non è facile da capire. Da una tradizione seicentesca (D’Onofrio 1969) si apprende che il cenobio fu edificato da monaci basiliani. Questo dato ne riporterebbe la fondazione  a un periodo di poco antecedente all’anno 1000, quando i basiliani occuparono queste zone per poi trasferire la loro sede definitiva a Grottaferrata. Allo stesso tempo, nell’agosto del 1246, la comunità cistercense di Fossanova otteneva la gestione del monastero di S. Stefano di Malvisciolo o Valvisciolo presso Carpineto Romano. Settant’anni dopo questa donazione, la comunità, impossibilitata a mantenere la fondazione, abbandonò la sua abbazia per ripiegare su quella dei confratelli a Sermoneta, formando così un unico nucleo monastico. Proprio la suddetta fusione delle abbazie ha provocato, nel corso della storia, frequenti stravolgimenti nella denominazione del luogo. In numerosi atti pubblici, ad esempio, l’abbazia di Sermoneta compare col nome di Marmosolio almeno fino alla metà del XV secolo, mentre fino al Seicento (Farina 1998) il complesso veniva indicato come Malvisciolo. È a partire dalla metà dell’Ottocento che il toponimo tornò ad essere Valvisciolo, denominazione in uso ancora oggi. Le principali incertezze circa la ricostruzione della storia  del monastero riguardano la fase antecedente l’arrivo di queste comunità cistercensi dai territori limitrofi. Oltre alla già descritta teoria di un’origine basiliana, da taluni studiosi venne avanzata l’ipotesi di una possibile fondazione da parte dei Cavalieri dell’ordine del Tempio, sulla base di una tradizione non documentata da fonti certe ma che presenta innumerevoli riscontri nella scultura presente all’interno dell’abbazia. Il più importante ritrovamento, avvenuto nel corso dei restauri effettuati all’inizio del Novecento, riguarda una piccola croce ramponata simile a quella cucita sugli abiti dei Templari, scolpita sulla parte sinistra dell’occhio centrale del rosone in facciata. Tale rinvenimento è all’origine dell’attribuzione ai Templari dell’edificazione o quanto meno della riedificazione del complesso abbaziale, confermando così la loro presenza nel territorio (Raymondi 1905, p.17). In realtà, la presenza di croci simili in complessi vicini, quali, ad esempio, quelle all’interno delle fenestellae confessionis nell’abbazia di Casamari, attesta che la scultura di Valvisciolo non necessariamente fu legata ad una fondazione ex-novo dei Templari, ma potrebbe essere una semplice testimonianza del loro passaggio nel Lazio meridionale (Mastrojanni 1959). Negli anni successivi però altre croci vennero ritrovate, in particolare durante i lavori di restauro effettuati tra il 1956 ed il 1957, quando, scrostando il soffitto dell’ala nord del chiostro, all’incrocio con il lato orientale, al centro delle quattro lunette fu ritrovata una croce templare [Fig. 2]. Tracce di un’altra croce emersero all’estremo lembo del lato nord dello stesso corridoio, il che portò ad ipotizzare la presenza di ulteriori due croci ai restanti angoli degli ambulacri a formare un complesso unico (D’Onofrio 1969, p. 280). Non è chiaro dunque se i monaci provenienti da Marmosolio si trovarono di fronte a un’abbazia già architettonicamente composita o se, piuttosto, la chiesa fu eretta da loro stessi in collaborazione con i Templari. Riguardo alla provenienza delle maestranze impiegate nella costruzione, nonostante le somiglianze con alcuni elementi dei cantieri cistercensi di Fossanova, sembra piuttosto difficile ipotizzare che da un unico cantiere artistico, lo studium artium di Fossanova, fossero emersi architetti dall’elevata capacità tecnica e architetti decisamente più modesti come quelli presenti a Valvisciolo. Probabilmente la fondazione dell’abbazia di Sermoneta fu di poco antecedente a Fossanova e pertanto ascrivibile alla prima metà del XII secolo. Tuttavia solo nel 1206 i cistercensi ottennero dal Capitolo generale dell’Ordine l’autorizzazione per rimanere nel sito di Valvisciolo, e appare dunque più plausibile  ipotizzare una sistemazione del complesso monastico successiva a questa data. Si può pertanto supporre che, in seguito all’arrivo dei monaci cistercensi di Marmosolio presso Sermoneta, tra il 1166 ed il 1168, fu realizzata una prima sistemazione e adattamento di un edificio preesistente, cui fecero seguito dopo il 1206 lavori più consistenti di ampliamento. Questa ipotesi, accolta da molti studiosi (D’Onofrio 1969; Cristino 1992; De Sanctis 1999), appare confermata dalla stessa struttura architettonica del complesso. La parte centrale della facciata e il fianco sinistro presentano infatti un’apparecchiatura muraria più accurata, con pietre simmetricamente allineate e malte di qualità alta. Alla raffinatezza d’esecuzione di questa parete non corrisponde la lavorazione sul fianco destro, costruito invece con pietre piuttosto irregolari e malta scadente, segno che i due interventi costruttivi avvennero in epoche diverse. Ciò sarebbe peraltro confermato dall’anomala ubicazione del campanile, eretto sul fondo della navatella destra [Figg. 3-4]. Presumibilmente la navata destra e il campanile facevano parte del primitivo nucleo della chiesa di Valvisciolo, antecedente agli ampliamenti effettuati post 1206.

La permanenza dei monaci cistercensi in questo sito ha subito varie interruzioni nel corso dei secoli. Trasferitisi nella nuova sede sermonetana, i monaci non ebbero vita facile soprattutto per lo sfruttamento di quei territori da parte dei commendatari, primo fra tutti Paolo Caetani (1411). A partire dal 1529 i cistercensi non erano più presenti all’interno dell’abbazia, che divenne priorato secolare. A una breve ricomparsa dei riformati cistercensi di Feuilly nei primi del Seicento, fecero seguito i Minimi di S. Francesco di Paola e poi, di nuovo, i cistercensi Foglianti che, insediatisi nel 1635, lì rimasero fino alle soppressioni degli ordini religiosi in epoca napoleonica (1807-1814). Fu con Pio IX (1846-1878), nel 1864, che i cistercensi furono richiamati a Valvisciolo dove tutt’ora risiedono.

Il complesso abbaziale appare come uno degli esempi più interessanti di architettura cistercense presente in questa zona. La sua struttura architettonica modulata sul quadrato [Fig. 5], simbolo geometrico per eccellenza, è organizzata secondo calibrati sistemi proporzionali (Cristino 1999). La chiesa è situata sulla zona più alta del terreno e occupa il lato nord del complesso monastico; l’ubicazione e l’orientamento est-ovest del corpo longitudinale corrisponde al classico schema cistercense. A sud della chiesa si trovano gli altri ambienti monastici, tra cui il chiostro quadrangolare. La chiesa, suddivisa all’interno in tre navate di cinque campate ciascuna, si conclude con un coro a due campate affiancato da una cappella per parte [Figg. 6-7]. Caratteristica inconsueta rispetto ai canoni architettonici cistercensi è l’assenza del transetto. Esempi simili si ritrovano nelle vicine S. Maria Assunta in Sermoneta, nella cattedrale di Priverno e, lungo la penisola, a S. Maria di Tiglieto e di Follina. La vicinanza di Valvisciolo con questi esempi fa ritenere che i Cistercensi di Marmosolio adattarono le strutture antecedenti ai canoni architettonici espressi dall’ordine ma allo stesso tempo si accostarono a quella tradizione costruttiva vicina a maestranze e moduli locali.

L’interno della chiesa presenta il presbiterio spartito in due campate rettangolari divise da due archi a sesto acuto. L’abside è illuminata ad est da finestre a triplet sormontate da un oculo, mentre a nord e a sud da due monofore, secondo uno schema presente a Fossanova. L’abside è affiancata da due cappelle con volte a crociera lisce illuminate da monofore con arco a tutto sesto. La cappella sinistra è divisa dal resto della chiesa (verso ovest) da un grande arco a sesto acuto. La cappella di destra, trasformata nel 1864 in sagrestia, ha assorbito al suo interno l’arco acuto che la separava dalla navatella meridionale. La navata centrale è divisa dalle laterali da pilastri prismatici a sezione rettangolare coronati da una cornice modanata. Questa tipologia di pilastri, introdotta a Valvisciolo nel XII secolo e in seguito adottata in altre chiese del basso Lazio (S. Maria Assunta in Sermoneta, duomo di Sezze, S. Giovanni Evangelista a Priverno), costituisce la base ‘romanica’ della chiesa. L’acquisizione di stilemi gotico-cistercensi si riscontra soprattutto negli archi trasversi delle navate laterali, un tempo decorati con motivi a finti conci. Questi poggiano su mensole a forma di piramide tronca, le quali, tramite lesene murarie, si ricollegano ai pilastri. Gli archi longitudinali a sesto acuto si innestano invece direttamente sulla cornice dei sostegni prismatici.
Secondo Wagner-Reiger (Wagner-Reiger 1956, p.76), il piedritto rettangolare di Valvisciolo rappresenta il fulcro centrale di tutta la composizione, il modulo geometrico attorno al quale si basa l’intero spazio circostante. La copertura della chiesa è costituita da volte a crociera liscia senza nervature, intervallate da archi trasversi a tutto sesto nella navata centrale e da archi ogivali in quelle minori. Il cleristorio è caratterizzato da un unico ordine di monofore con archivolto a tutto sesto strombato. Il campanile si trova in una posizione particolare rispetto ai classici moduli cistercensi e si innesta su quella che era la cappella di destra, oggi divenuta sacrestia. La torre campanaria è rinforzata a ovest da un contrafforte e presenta una copertura con tetto a piramide. È probabile che il campanile appartenesse al primissimo nucleo architettonico (ante 1165-1168) (Cristino 1992, p. 200). La facciata della chiesa si presenta lineare nel suo andamento e mostra somiglianze con quella di S. Maria a Fiume di Ceccano e di S. Maria di Ferentino. Il grande rosone centrale inquadrato entro una cornice dalla modanatura concava si articola a raggiera con dodici colonnine binate senza basi e capitelli a crochet e appare leggermente sovradimensionato rispetto al complesso della facciata e del sottostante portale [Fig. 8]. Questa soluzione risulta anomala se si considerano i rapporti tra le misure che i cistercensi adottavano per ottenere la giusta proporzione delle parti. Tale elemento  ha fatto ipotizzare una provenienza del rosone da un altro cantiere cistercense (Cristino 1992, p. 218). Il portale sottostante, privo di ornato, è formato da stipiti in pietra squadrata che sostengono un liscio architrave. Al di sopra di questo si trova un arco tondo di pietra con cornice modanata che poggia su peducci decorati con motivi zoomorfi e fitomorfi. All’interno della lunetta, durante i lavori di restauro effettuati nei primi anni del Novecento, fu rinvenuto un affresco frammentario che raffigura la Vergine con Bambino, Santo Stefano e San Pietro o San Benedetto (De Lazzaro 1863, p. 18) [Fig. 9]. Nel complesso il monastero di Valvisciolo appare caratterizzato dalla fusione tra soluzioni architettoniche di tipo locale e tendenze proprie dell’architettura cistercense. Tra le prime possiamo annoverare il pilastro prismatico, il sistema di copertura a volte estradossate, il semplice architrave rettangolare sorretto da mensole prive da ornato e infine i capitelli del chiostro. Rimandano invece a un linguaggio propriamente cistercense il trattamento cromatico degli archivolti, le monofore del cleristorio, alcuni capitelli del chiostro, il posizionamento dei locali annessi alla chiesa (refettorio, sala capitolare, scriptorium). Valvisciolo rientra dunque in pieno all’interno di quel filone di abbazie cistercensi del basso Lazio che, sulla scia di Fossanova e Casamari, si distinguono per la fusione di elementi di tradizione locale accostati a una sapiente quanto attenta rilettura dei canoni architettonici tipici dell’ordine cistercense.

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Autori

Angelica Gimbo