SAN BENEDETTO SUL MONTE LEANO
Coordinate GPS: 41.308917,13.215788
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Descrizione
Domenico Antonio Contatore (1675-1741) nel suo De Historia Terracinensis – la più antica narrazione della storia di Terracina che ci sia pervenuta - ricorda la presenza nella città e nel suburbio di ben quarantadue chiese. È chiaro che per molte di esse già ai suoi tempi si trattasse ormai solo di un pallido ricordo e, in alcuni casi, più che di chiese vere e proprie sarebbe lecito parlare di edicole. Tuttavia tra esse la chiesa di S. Benedetto ai piedi del monte Leano non appare menzionata, per lo meno non sotto questo nome.
Troviamo invece alla voce S. Mariae de Capite Silicis una descrizione che sembra rinviare alla nostra chiesa. «Post templum S. Silviani è directo versus Meridiem ad radices eiusdem montis Lejani, ubi viam Appiam, quae fert Terracinam, ingrederis, sequitur ecclesia S. Mariae de Capite Silicis» (Contatore 1706, p. 330). Dunque la chiesa veniva a trovarsi subito dopo il templum di S. Silviano – con tutta probabilità con riferimento al luogo dove, secondo la tradizione, fu eretto l’originario sepolcro del martire Silviano (Bianchini 1952, pp. 99-104) – in direzione sud ai piedi dello stesso monte Leano, dove la via Appia entra a Terracina. Fatta eccezione per la chiesa di S. Silviano – posta anch’essa ai piedi di Leano – Contatore non riferisce di nessun altra chiesa che veniva a trovarsi in quel punto esatto. Sembrerebbe lecito pensare allora che S. Mariae de Capite Silicis e S. Benedetto ai piedi del monte Leano siano la stessa chiesa. Purtroppo, però, ad una riesamina che potremmo far iniziare dal titulo stesso con cui sono designate le due chiese cominciano già a delinearsi le prime incongruenze.
Sappiamo infatti che Silex era il nome di una contrada che seguiva l’antico tracciato della via Appia nel tratto che da Cisterna portava a Terracina e che si arrestava in prossimità della rupe di Leano, immediatamente prima dell’aggiramento del monte dove inizia invece il rettifilo che prosegue per Terracina. Oltre a S. Mariae de Capite Silicis, altre chiese portano il riferimento nel titulo all’appartenenza alla contrada Silex (Coste 1990, p.127). Oltretutto la chiesa si trovava ai piedi del Monte Leano, dove la via Appia che porta a Terracina ingrederis – qui da intendersi nel duplice significato di iniziare ed entrare – con probabile riferimento all’avvenuto aggiramento del monte Leano quando inizia l’ultimo tratto di rettifilo in direzione di Terracina.
Le notizie su S. Maria di Caposelce sono poche e scarse. Il più antico documento in archivio risale al 15 maggio 1590 dove troviamo la semplice menzione «contrada Madonna della Selce» (Longo 1994, p.251). Contatore riferisce come alla sua epoca si trattasse di un edificio prossimo a crollare e lo vuole in origine officiato da un priore e da altri presbiteri, portando a supporto di tale affermazione un documento del 1337. «(…) quae muris adhùc stantibus tecto caret, corruit enim initio seculi proximè elapsi. In ea Prior vivebat con nonnulis aliis Presbyteris, ut colligitur ex quodam testamento rogato anno Domini 1337.per manum Oddonis Frajepanis Not. Terracin» rogato alla presenza del «Dnus Henricus Theotonicus de Polonia presbite Ecclesiae S. Mariae de Capite Silicis» (Contatore 1706, p.330). Successivamente la «cappella B. M. Vergine a Caposelce» compare nella visita pastorale del 1712 di B. M. Conti e infine in un rogito del 3 dicembre 1716: «contrada cappella della Madonna della Selce» (Longo 1994, p. 251).
La chiesa di S. Benedetto invece non risulta menzionata in nessun documento fino al 1735, anno di una visita pastorale, la cui notizia è riportata da Longo: «nel 1735 in occasione della sacra visitatio incontriamo per la prima volta questa descrizione: Rudere et veneranda vestigia antiqui Monachorum S.ti Benedicti Monasterii vidi omnemque diligentiam ad liberi pro inveniendo» (Longo 1994, p. 251). Longo come Contatore sembra propendere ad identificare le due chiese, anche se l’indicazione Capo Selce complica e rende difficile individuare il sito:«Al grosso rudere posto all’inizio della Valle, alle radici del Monte Leano, viene attribuito il nome di S. Benedetto e, rimanendo nel campo della tradizione popolare piuttosto che in quello scientifico, si tende ad individuarlo con quanto resta di un monastero. Lo storico locale non accenna in nessun passo della sua opera al santo di Norcia, possiamo indicare quindi nel 1706, anno dell’edizione dell’Historia Terracinensis, il termine post quem per il titolo di S. Benedetto, che (…) apparirà nella toponomastica locale solo intorno alla metà del XVIII secolo. Riteniamo che il titolo oggi utilizzato sia un’indicazione errata: andrebbe quindi ripresa e rivalutata l’antica denominazione S.ta Maria di Capo Selce» (Longo 1994, p. 251).
Un secondo problema che si pone dunque circa la chiesa di S. Benedetto è definire l’esatta ubicazione. Parziale ritiene che la chiesa sia segnalata per la prima volta nella carta di D. Parasacchi del 1637 (per le carte di D. Parasacchi e G. F. Ameti vedi Frutaz 1972, tav. 85. La chiesa è segnalata anche nella carta IGM F 170° INO da Lugli 1926, tav. 2). Secondo la studiosa, Contatore - cui la carta sarebbe stata ignota - l’avrebbe confusa con la chiesa di S. Maria in Capo Selce, errore commesso successivamente anche da Longo. In effetti la carta di D. Parasacchi mostra le due chiese chiaramente distinte e colloca S. Maria in Capo Selce nel tratto pontino dell’Appia tra il miglio LIV e LV, prima di ponte Maggiore, e la chiesa di S. Benedetto ai piedi del monte Leano nel punto in cui l’Appia antica si ritraeva nella Valle di Terracina.
Le prime notizie sulla chiesa di S. Benedetto sarebbero allora quelle fornite da Contatore nel Settecento e dalla visita pastorale del 1735. Secondo lo studio di Contatore sarebbe dunque da ricondurre alla chiesa di S. Maria in Capo Selce la definizione del toponimo e il documento in cui risulta esplicitamente nominata, mentre la descrizione delle strutture murarie è da riferire alla chiesa di S. Benedetto (Parziale 2007, p. 129). Ai tempi di Contatore la chiesa si presentava già priva del tetto, crollato all’inizio del ‘700. Inoltre riferisce di aver rinvenuto nelle vicinanze un pozzo di acqua potabile da lui associato alla celebrazione della domenica in albis, in occasione della quale i fedeli si riunivano per commemorare il rito presso la chiesa. Il pozzo serviva a dissetare la folla di pellegrini che qui si riunivano.«Dies sestus in eadem celebratur Dominica in Albis cum magno concursu Civium Terracinen., & ne siti urerentur, erat ibidem puteus haud insalubris aquae, ut etiam non visui patet licet repletus esista…» (Contatore 1706, p.331). L’informazione si rivela di grande importanza perché permette a Parziale di avanzare un tentativo di datazione. Fino al X secolo infatti la festività durava una settimana e terminava con la processione dopo l’ora nona del sabato in albis, dopo il X secolo invece vennero considerati festivi solo i primi due giorni successivi alla domenica di Pasqua. Una considerazione che lascia propendere per una datazione della chiesa all’XI secolo (Parziale 2007, p.132).
Allo stato attuale la chiesa si presenta in stato di abbandono e di forte degrado. Sulla base anche delle informazioni forniteci da Lugli possiamo tentare una ricostruzione della chiesa e affermare che aveva un impianto longitudinale, era dotata di una sola abside dal profilo esterno semicircolare, ma priva di transetto [fig. 1]. Aveva quindi un atrio per accogliere i fedeli, anche se non ci è dato sapere se proprio li era posto il pozzo ricordato da Contatore. Contatore dice che era coperta a tetto, ma non sappiamo se si trattasse della copertura originaria. La distanza tra l’abside e la restante parete N - di m. 4,30 – esclude una suddivisione in navate. Invece la distanza che intercorre tra la parete absidale e quel che rimane della facciata m. 15,60 concorre a farci ipotizzare che si trattasse di una chiesa extra-urbana di piccole dimensioni (Parziale 2007, p.133; Lugli 1926, p.12).
Oggi sopravvivono della chiesa: l’abside (orientata a NO) [3]; un tratto della parte N [4]; e parte della facciata esposta a SE [5]. Ancora visibile è l’atrio a N [fig. 7]. La chiesa è stata realizzata con bozze di calcare medio-piccole e irregolari. Il materiale è allettato i filari regolarizzati con zeppe per l’orizzontamento [fig. 8]. Blocchi di selce si riscontrano nelle testate angolari della facciata e nel profilo dell’arco absidale che ben si adatta ad un certo gusto bi-cromo tipico dell’area della Marittima meridionale. La malta utilizzata è di colore rosato con inerte di calcare, sabbia e calce. Il nucleo è del tipo “incastrato” [fig. 5]. Parziale accosta questa tecnica costruttiva a quella della Torre annessa a Ferrona e ribadisce una datazione per la chiesa di S. Benedetto all’XI-XII sec. (Parziale 2007, p.133). Ipotesi che trova conferma nelle caratteristiche della tecnica muraria che seguendo le classificazioni proposte da Fiorani rientrerebbe di buon grado nella classe A 4, gruppo che si afferma soprattutto tra l’XI e il XII secolo (Fiorani 1996, pp. 119, 128, 130, 135). Bianchini ricorda lo stanziamento di un cenobio nella zona già prima del 1000, cui il conte Crescenzio, signore feudale di Terracina, nel sesto anno del pontificato di Giovanni XV (984-996), fece donazione di un’amplissima zona di terre e di peschiere con atto notarile riportato dal Contatore (Bianchini, 1952, p.105). È interessante notare che Contatore riporta la notizia relativamente alle vicende della chiesa di S. Silviano (Contatore, 1706, p. 327). È allora possibile che la donazione comprendesse una porzione di territorio ai piedi di Leano in cui sia stata successivamente edificata anche la chiesa di S. Benedetto (Contatore 1706, p. 328), un indizio che S. Benedetto si trovasse sotto la giurisdizione del più influente monastero di S. Silviano.
Bibliografia
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Autori
Alessandra Aloisi