MONASTERO DI S. MARIA DI MONTE MIRTETO

MONASTERO DI S. MARIA DI MONTE MIRTETO

Coordinate GPS: 41.58978,12.952025

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Immagini


1) Vista dei ruderi del monastero di Santa Maria di Monte Mirteto (da De Sanctis 1990).

2) Controfacciata della chiesa abbaziale (foto Autore).

3) Vista dell’interno della chiesa abbaziale (foto Autore).

4) Vista dell’interno della chiesa abbaziale (foto Autore).

5) Affresco nella nicchia della chiesa abbaziale (foto Autore).

6) Chiesa abbaziale, particolare dell’apertura sulla parete sinistra della navata (foto Autore).

7) Chiesa abbaziale, particolare dell’apertura sulla parete destra della navata (foto Autore).

8) Fiumefreddo Bruzio, chiesa abbaziale di Fontelaurato, planimetria (da www.wikipedia.com)

Descrizione

Sulla costa del monte Norba, al di sotto dell'omonima città romana, a pochi chilometri a nord-ovest di Ninfa, giacciono le rovine del monastero di S. Maria di Monte Mirteto, detto anche di S. Angelo [Fig.1]. La regione in cui insiste, quella della Marittima, era caratterizzata nel Medioevo dall'impaludamento delle zone costiere e dall'assenza di centri di qualche rilievo (fatta eccezione per Ninfa). Fino a tutto il XII secolo fu luogo di aspre contese tra le famiglie romane in cui il vescovo titolare di Ostia e Velletri faceva da arbitro, spesso su richiesta papale. Fu papa Innocenzo III (1198-1216), consapevole della debolezza politica del confine meridionale dello Stato della Chiesa, a inaugurare una stagione di insediamenti monastici in tutta l'area utilizzando i nuovi ordini religiosi (in particolare Cistercensi ma anche Florensi e Templari), per costituire un caposaldo da opporre al Regno di Sicilia. Tali insediamenti favorirono lo sviluppo agricolo con la bonifica dei territori impaludati, lo sviluppo economico della regione, la stabilità politica, la sicurezza e il controllo sulla strada pedemontana che sostituiva l'Appia (da quando si era impaludata nel secolo VIII) che passando per Cisterna, Ninfa, Sermoneta e Sezze metteva in comunicazione Roma con il Regno di Sicilia. Alle pendici dei monti Lepini sorsero a questo scopo i monasteri di S. Maria di Monte Mirteto, Valvisciolo e Marmosolio.

Sul sito dell'attuale monastero di S. Maria di Monte Mirteto vi era una grotta legata alla devozione micaelica che, meta di pellegrinaggi sempre più frequenti nel corso del XII secolo, fu trasformata in luogo di culto. Nel 1183 venne infatti edificata una prima chiesa (i cui resti non sono mai stati indagati e che potrebbe insistere al di sotto dall'attuale) che fu consacrata dal vescovo Signino su mandato di papa Lucio III (1181-1185) (De Sanctis 1990, p. 262). Nel 1206 il cardinale Ugolino, della famiglia dei Conti, all'epoca vescovo di Ostia e Velletri (1202-1212) e futuro papa col nome di Gregorio IX (1227-1241), fu inviato da Innocenzo III, anch'esso della famiglia dei Conti, per dirimere le controversie tra le città di Velletri, Cori e Sermoneta da una parte, Ninfa, Sezze, e Acquapuzza dall’altra (dispute che opponevano le famiglie Conti e Frangipane), in cui era rimasto coinvolto anche il clero della chiesa di S. Angelo (Gregoire 1990, p.154). Fu forse questo evento che spinse il cardinale Ugolino a chiamare i Florensi nella regione; la potente famiglia dei Conti, che nel XIII secolo vide tre suoi esponenti assurgere al soglio pontificio – oltre ai già citati Innocenzo III e Gregorio IX, va ricordato anche Alessandro IV (1254-1261) – voleva stabilizzare l'area dove erano concentrati i suoi interessi economici e politici inserendo nuovi attori che, in quanto ordini monastici di recente fondazione, provenivano da un ambiente culturale e spirituale molto lontano dalle faide cittadine romane o locali e dallo scontro tra papato e Impero, ed erano desiderosi di mettersi in buona luce. I motivi che portarono il cardinale Ugolino a prediligere proprio i Florensi per le sue fondazioni monastiche in Campagna e Marittima (come S. Maria della Gloria presso Anagni, fondata nel 1226) possono essere ricondotti sia all'esigenza di inserire un'istituzione religiosa che non fosse vincolata a nessuna clientela e lontana dalle lotte cittadine (Zappalà 1933, pp. 388-389), sia a quella di appoggiare un ordine religioso già incoraggiato e protetto da Enrico IV, Costanza e Federico II, e quindi dall’Impero, allo scopo di favorire una mediazione in queste zone di confine.

Non esiste una data certa per la fondazione del monastero: il documento più antico che attesta la presenza di un gruppo di monaci florensi, provenienti da Fonte Laurato in Calabria, è un diploma del vescovo Ugolino che nel 1216 assegna alla comunità monastica, già presente, il possesso del sito e della grotta (Caraffa 1981, p.131). A questi anni si deve ricondurre la costruzione, forse sopra la precedente, della chiesa, con un andamento nord-ovest/sud-est chiusa a nord dall’impervio terreno del monte, e circondata per i restanti tre lati dalle «officinibus» e dalle altre strutture monastiche (Caraffa 1940, p. 19).

Attraverso i 72 documenti superstiti, conservati nell'archivio di Santa Scolastica, e pubblicati da Federici (Federici 1904), è possibile ripercorrere a livello storico lo sviluppo vertiginoso che ebbe il cenobio florense: del 1216 è la conferma della donazione di un mulino (Federici 1904, p. 52), nel 1220 i Frangipane concessero il libero passo per il trasporto delle merci fino al porto di Terracina (segno che a pochi anni dalla sua fondazione il monastero era già in grado di esportare merci). Nello stesso anno, l'imperatore Federico II accordò al monastero, tramite l'intercessione del cardinale Ugolino, la ricca grangia di Torriano in Calabria (Caraffa 1940, p. 19). Gli interessi economici del monastero si estesero rapidamente anche in Nord Europa, tanto che nel 1238 l’abate Roberto e la comunità di S. Agostino di Canterbury cedettero a Monte Mirteto il patronato sulla chiesa «Litlebourniensis» posta nella stessa diocesi inglese (Caraffa 1990, p. 457).

La protezione politica di Roma è dimostrata dal fatto che le continue dispute sul possesso di terreni tra vari feudatari locali e il monastero di S. Maria di Monte Mirteto, riportate nei documenti del XIII secolo, si risolsero sempre a favore di quest'ultimo (Gregoire 1990, p.156-158). Allo stesso modo, la politica delle concessioni e donazioni fatta da pontefici della famiglia dei Conti proseguì e si incrementò sotto il pontificato di Alessandro IV (Gregoire 1990, p. 158-159).

Tra i numerosi privilegi accordati a S. Maria di Monte Mirteto degne di interesse appaiono le concessioni di abbazie da colonizzare o da riformare secondo la regola florense. Un primo esempio risale al tempo di Onorio III (1216-1227), che concesse i monasteri di Insula Rubiliana e di S. Renato di Sorrento perché fossero riformati. Lo stesso avvenne nel 1259 per il monastero greco di S. Angelo a Rossano e nel 1288 per quello della SS. Trinità di Cori (De Sanctis 1990, p. 265). La politica di acquisizioni di vecchi monasteri fu economicamente fallimentare perché venivano assorbite da Monte Mirteto strutture molto povere che avevano bisogno di ingenti risorse per sopravvivere. Nonostante i lasciti e le donazioni continuassero ininterrotti tra il XIII e il XIV secolo e il monastero possedesse ancora  il ‘monopolio sull'acqua’ coi suoi 16 mulini attivi in zona (Gregoire 1990, p. 159), questa politica portò il cenobio alla decadenza quando venne a mancare la forte protezione della famiglia dei Conti (che coincise con l'ascesa della famiglia Caetani). Un segno evidente di questo è che nel 1330 la comunità di Monte Mirteto venne esentata dal pagamento delle tasse, che si dovevano alla Curia Romana ad ogni elezione di abate, ‘propter paupertatem  (Gregoire 1990, p. 159).

Nel 1417 iniziò il periodo della Commenda, quando Martino V (1417-1431) affidò il monastero al cardinale Alemanno Ademaro, arcivescovo di Pisa. Il 1 aprile del 1432, con la bolla Romani pontificis providentia, Eugenio IV (1431-1447) annetté il monastero del Monte Mirteto a quello di Santa Scolastica di Subiaco (Federici 1904, p. 240). Il 13 settembre 1451 Niccolò V (1447-1455) «dà indulgenze a tutti coloro che contribuiranno ai restauri di Sant'Angelo sopra Ninfa» (Federici 1904, p. 252), forse in seguito al terremoto che il 2 febbraio 1438 colpì tutte le località dei Colli Albani e provocò danni anche a Roma (Guidoboni, Comastri 2005). Un successivo sisma distrusse nel 1703 il monastero. Dopo quasi settant'anni di abbandono furono intraprese opere di restauro che si risolsero in una ricostruzione pressoché totale della chiesa e delle strutture monastiche (Cassoni 1925). Questi lavori vennero condotti a più riprese, a cui seguirono altrettanti abbandoni, nel 1796 e infine nel 1832 (De Sanctis 1990, p. 266).

Negli ultimi due secoli, gli ambienti ormai abbandonati del monastero sono stati utilizzati dai contadini come magazzini, depositi per attrezzi agricoli e stalle. A questo scopo sono stati costruiti ex novo locali tutto intorno alla chiesa (ormai anche questi ridotti a ruderi), riutilizzando le pietre dei muri più antichi e rendendo quindi impossibile una lettura planimetrica della fabbrica abbaziale originaria. Lo stato attuale del monastero risente così tanto delle nuove costruzioni dei secoli XVIII e XIX che è ormai impossibile rintracciare, se non nella chiesa, murature medievali (De Sanctis 1990, p. 266).

La chiesa, che si presenta attualmente nel più totale stato di abbandono, è priva di tetto e della parete di controfacciata, ricolma di macerie e di strati di crollo [Fig. 2]. L'accesso è reso ulteriormente problematico dalla folta vegetazione che l'ha invasa [Figg. 3-4]. Delle originarie murature rimangono solo la parete di sud-est con l'abside semicircolare e alcuni filari alla base delle pareti laterali. La struttura medievale doveva quindi essere in blocchi di pietra calcarea locale, dalla forma irregolare, legati con abbondante malta. Sul versante nord-ovest, quello della facciata, la chiesa invece è stata mutilata nelle sue dimensioni dai lavori di ricostruzione del XVIII secolo, e non è quindi possibile ricostruirne le originarie dimensioni.

In una piccola nicchia situata nella parte centrale dell'abside semianulare [Fig. 5] è conservato l'unico brano di affresco superstite rappresentante una Madonna in trono con Bambino.

Nell'abside vi erano altre due nicchie tamponate in un'epoca imprecisabile; nella navata centrale, all'interno della zona presbiteriale, vi sono, sia sulla parete di destra che su quella di sinistra, due aperture contrapposte che probabilmente conducevano ad ambienti non più esistenti [Figg. 6-7].

Lo stato di rovina in cui versano le strutture rende impossibile l'analisi delle fasi costruttive dei secoli XIII e XIV, che non potrà avvenire se non dopo accurate indagini archeologiche. Queste si rendono necessarie per un confronto puntuale della fabbrica con le fondazioni florensi, la cui architettura è stata già oggetto di studi approfonditi (Cadei 1980; D'Adamo 1978; 1980).

La planimetria della chiesa del Mirteto sembra legata a quella della casa madre di Fonte Laurato [Fig. 8]: ricorrono sia la navata unica (che si riscontra in tutte le fondazioni florensi) sia l'abside semicircolare con tre nicchie sia le due porte contrapposte sulle pareti della navata nella zona presbiteriale. Nella fabbrica calabrese queste hanno la funzione di accesso alle due cappelle del transetto, di cui al Mirteto, se mai vi furono, non resta traccia. Purtroppo la mutilazione di età moderna operata sulla navata centrale della chiesa laziale non consente indagini più approfondite sulle proporzioni e le dimensioni delle due chiese né è possibile indagarne l'alzato e la disposizione delle finestre che, per i Florensi come per i Cistercensi, ricoprivano un ruolo fondamentale.

Infine, le indagini archeologiche potrebbero mettere in luce i restanti locali del primitivo monastero: le celle, il chiostro e gli ambienti produttivi dell'abbazia che, dato lo sviluppo economico e commerciale così immediato del monastero, dovevano essere molto sviluppate ed efficienti.

Bibliografia

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Caraffa F., Il Monastero florense di Santa Maria della Gloria presso Anagni, con una introduzione sui monaci florensi e i loro monasteri, Roma 1940

Caraffa F., Monasticon Italiae, Roma e Lazio (eccettuate l’arcidiocesi di Gaeta e l’abbazia "nullius" di Montecassino), Cesena 1981

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Cassoni D.M., La badia ninfana di Sant'Angelo o del Monte Mirteto nei Volsci, «Rivista Storica Benedettina», XVI (1923),  pp.170-189; 252-263

Cassoni D.M., La badia ninfana di Sant'Angelo o del Monte Mirteto nei Volsci, «Rivista Storica Benedettina», XV (1924), pp. 51-77

D'Adamo C., L'abbazia di San Giovanni in Fiore e l'architettura florense in Italia, in I Cistercensi e il Lazio, «Atti delle Giornate di studio dell'Istituto di storia dell'arte dell'Università di Roma, Roma 1977», Roma 1978, pp. 91-98

D'Adamo C., Verifica su una tipologia ricorrente in alcune fondazioni florensi: Santa Maria di Fontelaureato, San Martino di Canale, Santa Maria della Gloria, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, «Atti della III Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma, Roma 1978», a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980, II, pp. 175-189

De Sanctis M.L., Insediamenti monastici nella regione di Ninfa, in Ninfa una città giardino, «Atti del colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa 7-9 ottobre 1988», Roma 1990, pp. 259-279

Falco G., Studi sulla storia del Lazio nel medioevo («Miscellanea della Società Romana di Storia Patria», 24), 2 voll., Roma 1988

Federici V., I monasteri di Subiaco, IILa biblioteca e l'archivio, Roma 1904

Gregoire R., Presenze religiose e monastiche, in Ninfa una città giardino,  «Atti del colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa 7-9 ottobre 1988», Roma 1990, pp. 153-166

Guidoboni E., Comastri A., Catalogue of earthquakes and tsunamis in the Mediterranean area from the 11th to the 15th century, Bologna 2005

Hadermann-Misguich L., Images de Ninfa. Peintures médiévales dans une ville ruinée du Latium, Roma 1986

Hadermann-Misguich L., La peinture monumentale des sanctuaires de Ninfa, in Ninfa una città giardino, «Atti del colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa 7-9 ottobre 1988», Roma  1990, pp. 247-257

Romano S., Eclissi di Roma, Pittura murale a Roma e nel Lazio da Bonifacio VIII a Martino V (1295-1431), Roma 1992

Zappalà M., Gregorio IX e i monasteri florensi della Campagna e Marittima, in Miscellanea di Studi storici offerta ad Alessandro Luzio dagli Archivi di Stato italiani, II, Firenze 1935, pp. 387-402

Autori

Tommaso Vicinelli