MONASTERO DI S. MARIA DI MONTE MIRTETO - L'affresco
L'affresco
Immagini
Descrizione
In una piccola nicchia situata nella parte centrale dell'abside della chiesa di S. Maria di Monte Mirteto è conservato l'unico brano di affresco superstite [Fig. 1]. Non è possibile sapere se ve ne fossero altri, dato che il terremoto del 1703 distrusse le pareti della navata e la controfacciata. Il frammento in esame rappresenta una Madonna in trono con il Bambino. La Vergine è seduta su un trono basso, senza schienale, poggia i piedi su un basamento ligneo con il fronte decorato da archetti trilobati e tiene col braccio destro il Bambino benedicente che regge nella mano sinistra un globo tripartito sormontato da una croce. All’interno del globo sono iscritte le parole «Asia Africa Europa» [Fig. 2].
La Madre e il Bambino sono biondi e il loro incarnato è leggermente rosato. La Vergine indossa una tunica blu con finiture ai polsi dorate e un manto ocra con risvolti verde chiaro, mentre il Bambino una semplice tunica rosata. Le aureole sono di stucco e in rilevo, con punzonature che fanno presupporre un'originaria doratura. Lo sfondo è azzurro e decorato con un motivo a cuori capovolti e fiori, che denuncia un'attenzione tardogotica. La base del trono, ripresa di scorcio, e la resa dei panneggi, soprattutto sulle ginocchia della Vergine, denotano una ricerca di tridimensionalità.
La Madonna è perfettamente al centro della nicchia, quasi simmetrica rispetto all'asse verticale e resa in modo frontale, in una immobilità statuaria, come un'icona. La figura appare slanciata e al contempo rigida: il viso leggermente ovale, il collo estremamente allungato, gli avambracci sottili e le dita affusolate contrastano con la larghezza delle spalle e del busto, e con l'estrema voluminosità delle ginocchia. La stessa sproporzione si può avvertire nella resa del viso: alla bocca sottile e stretta si contrappongono il naso e gli occhi estremamente sviluppati. Il Bambino, invece, risente di una certa fissità nel busto e di una ripresa frontale, ma non è allineato sullo stesso asse della Vergine, ha la testa leggermente reclinata verso sinistra e le ginocchia piegate denunciano una leggera torsione delle gambe verso destra. Inoltre, nella figura del Cristo i tratti non sono più così assottigliati e allungati, ma c'è una piena ricerca della tridimensionalità. La differenza tra le due figure non è da attribuire a due mani diverse, poiché la resa dei dettagli anatomici è analoga (bocca, occhi e naso) ma, probabilmente, a volontà differenti, secondo una tipologia di primo Quattrocento che vuole la Vergine allungata e fissa e il Bambino reso in modo tridimensionale (l'esempio più illustre è la Sant'Anna Metterza di Masolino da Panicale e Masaccio [Fig. 3]). Nel complesso si può ritenere che il pittore utilizzasse un linguaggio ancora tardogotico, ma fortemente influenzato da forme proto-rinascimentali.
Gli studi finora condotti sull'affresco propongono una datazione al XIV secolo (Hadermann-Misguich 1986; 1990; Romano 1992), periodo in cui il monastero del Mirteto era ancora molto influente e in cui furono realizzati numerosi affreschi nella regione. Ciò nonostante quest'opera è sempre stata considerata un unicum nel contesto della Marittima, dove ai primi anni del Trecento operava, soprattutto a Ninfa, una bottega vicina ai modi del Cavallini. È stato sempre sottolineato che lo stile dell'esecutore fosse legato a a un linguaggio nord-europeo, per la presenza a Monte Mirteto di artisti d’Oltralpe, dati gli scambi commerciali di respiro internazionale del monastero: basti ricordare il patronato sulla chiesa «Litlebourniensis» posta nella diocesi di Canterbury, in Inghilterra (Caraffa 1990, p. 457), ma questo non basta a giustificare l'esecuzione dell'affresco in esame da parte di pittori stranieri.
L’iconografia del Salvator Mundi, cioè del «Cristo con in mano un globo sormontato da una croce in attitudine benedicente, è diffusa principalmente nella pittura rinascimentale dell’Europa del Nord» (Hall 1983, p. 360). L'iconografia, dunque, proviene dall'Europa Settentrionale, ma la datazione va posticipata al XV secolo. Nell’affresco del Mirteto, caso raro, il globo è tripartito per rappresentare il mondo secondo le modalità di raffigurazione che Isidoro di Siviglia proponeva nel capitolo XIV delle Ethymologiae, «de terra et partibus»: un cerchio, frazionato in tre parti, che rappresentano i continenti allora conosciuti, divisi dal Mediterraneo, simbolicamente reso con la forma di una «T» capovolta. Nella parte superiore sono i due continenti di minore grandezza, cioè Africa ed Europa, mentre l’Asia, più grande, occupa tutta la parte inferiore. A Monte Mirteto è invertito l'ordine dei continenti: nella parte superiore della sfera sono posizionate Asia e Africa, mentre all'Europa è dedicata tutta la parte inferiore del globo.
Tra gli esempi iconografici più prossimi si distinguono alcune opere presenti in Italia Centrale e databili al XV secolo. Il primo è un affresco degli inizi del Quattrocento posto sulla parete destra del presbiterio di Santa Maria in Valle Porclaneta a Rosciolo [Fig. 4], che rappresenta una Madonna in trono con il Bambino. Cristo ha in mano un globo tripartito (ma in questo caso non sono più visibili, se mai ci sono state, le iscrizioni coi nomi dei continenti). Il secondo esempio è un affresco firmato e datato 1473 da Andrea Delitio, sulla parete esterna del duomo di Guardiagrele [Fig. 5], in cui Cristo, sulle spalle di san Cristoforo, regge un globo tripartito in cui sono iscritte le sole iniziali dei continenti. Al di fuori del contesto italiano, la tripartizione del globo è presente anche in un'edizione dello «Speculum humanae salvationis» stampato in ambito nederlandese tra il 1468 e il 1479 [Fig. 6].
Appare quindi evidente che questa iconografia ebbe molta fortuna nel Quattrocento in zone provinciali, lontane dai centri di diffusione del Rinascimento e ancora legate alla cultura tardogotica.
Sembra dunque ragionevole una datazione agli anni cinquanta o sessanta del Quattrocento, cioè successivamente al documento sublacense che riporta come il 13 settembre 1451 Niccolò V (1447-1455) «dà indulgenze a tutti coloro che contribuiranno ai restauri di Sant'Angelo sopra Ninfa» (Federici 1904, p. 252). La datazione dell'opera, che legata ancora a schemi tardogotici può sembrare anacronistica nel tardo Quattrocento, va però considerata nel contesto di un monastero decaduto, dato in commenda, ormai fuori dagli scambi commerciali europei, e definitivamente destinato a un ruolo provinciale.
Bibliografia
Caraffa F. , I monasteri florensi del Lazio meridionale, in Ninfa una città giardino, «Atti del colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa 7-9 ottobre 1988», Roma 1990, pp. 451-471.
Federici V., I monasteri di Subiaco, II, La biblioteca e l'archivio, Roma 1904.
Hadermann-Misguich L., Images de Ninfa. Peintures médiévales dans une ville ruinée du Latium , Roma 1986.
Ead.., La peinture monumentale des sanctuaires de Ninfa, in Ninfa una città giardino, «Atti del colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma, Sermoneta, Ninfa 7-9 ottobre 1988», Roma 1990, pp. 247-257.
Romano S., Eclissi di Roma, Pittura murale a Roma e nel Lazio da Bonifacio VIII a Martino V (1295-1431), Roma 1992.
Hall J., Dizionario dei simboli nell’arte, Milano 1983.
Autori
Tommaso Vicinelli