TERRACINA - Cattedrale di San Cesareo - Il portico
Il portico
Immagini
Descrizione
Costruito in un momento di grande sviluppo per la città di Terracina (Caciorgna 2000, p.1 28), molto probabilmente intorno al terzo o quarto decennio del Duecento (Di Gioia 1982, p. 111), il portico della cattedrale si compone di undici colonne di età romana in granito rosso o grigio. Tra le colonne, sei si trovano «al sommo della scalinata sullo stilobate antico» (Aurigemma 1957, p. 40), mentre le altre cinque si trovano «notevolmente più in alto, poiché il pavimento della chiesa medievale è più elevato rispetto al piano antico» (Ibidem).
Essendo materiale di spoglio, le colonne risultano diverse tra loro per diametro e altezza. Per ridurre le differenze tipologiche è stato, dunque, necessario compensare i dislivelli con delle basi in marmo bianco di diversa grandezza [fig. 5]. Queste basi figurate, tratte dal repertorio degli scultori campani (Parlato 2001, p. 331), presentano alle estremità delle coppie di animali, tra cui leoni, caproni o scimmie, ricavate dal medesimo blocco di marmo e oggi in pessimo stato di conservazione. Le colonne, invece, terminano con «capitelli ionici medievali di imitazione classica» (Di Gioia 1982, p. 33). Una scalinata di venticinque gradini conduce all’ingresso dell’edificio.
Una simile tipologia edilizia con colonne di reimpiego, capitelli ionici, pilastri angolari e trabeazione rettilinea con fregio mosaicato, richiama da vicino modelli romani: «gli archi ribassati sopra la trabeazione ricorrono ad esempio nella chiesa di San Giorgio al Velabro, i capitelli ionici sono presenti a San Lorenzo fuori le Mura, nell’abbazia delle Tre Fontane e nel duomo di Civita Castellana, dove ricorre altresì l’arcone che interrompe al centro della trabeazione» (Parlato 2001, p. 331). In particolare, il nostro porticato si riferisce a una serie di esemplari costruiti a partire dalla rinascenza edilizia del pontificato di Pasquale II (1099-1118); possibili confronti rimandano al portico della basilica di San Lorenzo in Lucina e a quello dei S.S. Giovanni e Paolo» (Di Gioia 1982, p.113).
Come dimostrano le immagini selezionate da Rossi (Rossi 1912, pp. 89-91), le fotografie anteriori al restauro del 1926 «mostrano sopra la trabeazione una serie di archi ogivali, ne consegue che gli attuali archi ribassati sono ricostruzione di ripristino, come anche l’arcone centrale» (Parlato 2001, p. 331) [figg. 1-3].
La terza colonna da sinistra presenta due iscrizioni: una in greco, di tipo commemorativo, incisa a circa 2.90 metri da terra, l’altra in latino incisa circa 1 metro al di sotto del testo greco (Longo 1991, p. 22)
Sui capitelli poggia «una trabeazione rettilinea composta da un fregio a mosaico, a tessere in pasta vitrea colorata, e da una cornice marmorea» (Di Gioia, p. 33). Se originariamente il fregio musivo doveva correre lungo tutta la trabeazione, oggi invece si conserva la decorazione solo nella metà destra, mentre nella metà sinistra è ancora visibile l’incavo necessario per alloggiare malta e tessere: questa struttura non è inconsueta «alla tradizione romana e in forme ridotte si trova a Santa Cecilia in Trastevere e a San Lorenzo fuori le Mura» (Parlato 2001, pp. 331-332).
Il vero protagonista del portico è la decorazione musiva, realizzata con tessere minutissime e regolari affiancate a grandi inserti in pasta vitrea [fig. 6]. Secondo Aurigemma il fregio sarebbe opera di artisti siculi-normanni (Aurigemma 1957, p. 40), mentre Di Gioia opterebbe piuttosto verso maestranze campane (Di Gioia, p. 120).
L’iconografia risulta di difficile decodificazione: da sinistra verso destra incontriamo un mostro alato, un volatile, due cervi affrontati a un albero, due uccelli disposti simmetricamente ai lati di una gabbia, tre demoni, due tori ai lati di una chiesa, due combattenti armati a cavallo affrontati a una croce. Quest’ultima scena è accompagnata dalla scritta «GVTIFRED: EGIDII MILES»; segue poi un personaggio su un’imbarcazione accompagnato dall’iscrizione «PERTVS PBRI MILES», due grifoni affrontati a un vaso, due volatili disposti simmetricamente ai lati di un vaso e, infine, un volatile variopinto.
Come sostiene Longo, «la lettura d’insieme proposta vede nel susseguirsi delle immagini un messaggio ‘soterico e al tempo stesso esortativo’, ossia: chi seguirà le leggi di Dio, riceverà in premio la salvezza eterna» (Longo 1991, p. 24), mentre «la presenza della croce teutonica e dei milites non può non ricordare la presenza dei Cavalieri Templari a Terracina» (Ibidem).
Per quanto concerne la parte sinistra del fregio musivo, secondo Parlato è possibile che essa raffigurasse delle vicende legate alla passio di San Cesareo e di altri Santi le cui reliquie erano conservate all’interno dell’edificio: «lungo la trabeazione si leggono infatti le seguenti iscrizioni incise nel marmo: «PALATIUM TRAI IMP [Traiani imperatoris] VALES SILVINIAN, EPS (…) [terra] CINA LEONTIUS S. CESARIUS S. CES (…) LEONI» (Parlato 2001, p. 332)».
In conclusione, vorrei riportare la descrizione di Salvatore Aurigemma quando, riferendosi al nostro mosaico, scrive: «è molto difficile dare una spiegazione del significato del fregio, nel quale alcuni hanno voluto vedere perfino un ricordo delle crociate; ma quale sia l’interpretazione che gli si debba dare, non si può discutere sulla sua affascinante bellezza e sull’effetto sorprendente dei suoi colori, di una vivacità, di una freschezza, di uno splendore tali che è difficile fissarli quando il sole li batte in pieno» (Aurigemma 1957, p. 41).
Bibliografia
Aurigemma S., Bianchini A., De Santis A., Circeo, Terracina, Fondi, Roma 1957.
Bianchini A., Notizie sulla diocesi di Terracina e descrizione delle chiese della città, [S.I.] 1972.
Bianchini A., Storia di Terracina, Terracina 1952.
Di Gioia E., La cattedrale di Terracina, Roma 1982.
Longo P., Il Duomo di Terracina, Roma 1991.
Parlato V., Romano S., Roma e il Lazio. Il Romanico, Roma 2001.
Rech C., Terracina e il Medioevo: un punto di osservazione sul Primo Millennio alla fine del Secondo Millennio. Terracina, Sala Valadier, 29 giugno-31 ottobre 1989, Roma 1989.
Rossi A., Terracina e la palude pontina, Bergamo 1912.
Autori
Elisabetta Masala