TERRACINA - Cattedrale di San Cesareo

Cattedrale di San Cesareo

Coordinate GPS: 41.291955,13.248342

Sottoschede

Immagini


1) Pianta (da Di Gioia 1982)

2) Pianta (da Longo 1991)

3) Prospetto nord, rilievo (da Di Gioia 1982).

4) Sezione longitudinale (da Di Gioia 1982).

5) La cattedrale prima dei restauri degli anni Venti (da Rossi 1912)

6) La cattedrale prima dei restauri degli anni Venti (da Grossi 1994)

7) Piazza del Municipio nell'acquaforte di L. Rossini (da Di Gioia 1982)

8) Facciata (da Rossi 1912)

9) Interno (da Rossi 1912)

Descrizione

Dedicata al martire Cesareo, patrono della città, la cattedrale di Terracina sorge nella città alta in un’importante area archeologica del centro storico. Si tratta della zona del Foro Emiliano (Parlato 2001, p. 329), oggi solo parzialmente leggibile a causa del susseguirsi di numerosi interventi edilizi nel corso dei secoli.

Nella stessa chiesa di S. Cesareo è possibile leggere una continuità di stratificazioni che corrisponde alle trasformazioni della città: il monumento non fu costruito ex novo, ma edificato su un tempio romano del I secolo dedicato probabilmente a Apollo Anxure (Grossi 1994, p. 346) oppure a Roma e Augusto (Aurigemma 1957, p.39). Alcuni resti dell’alzato del tempio sono visibili sul lato nord-ovest della chiesa, tra corso Garibaldi e via di Posterula. Non sappiamo quando avvenne esattamente la conversione in edificio cristiano, ma «(...) già al tempo di San Gregorio (570-603) il tempio pagano serviva al nuovo culto» (Ibidem, p. 24). Tra le notizie più antiche che documentano l’esistenza di una basilica dedicata a Cesareo è opportuno menzionare la donazione di Leone IV (847- 855), ricordata nel Liber Pontificalis: «ipse quidem venerabilis Pontifex in basilica sancti Cesarii, qui ponitur in Terracina, veste de quadrapulo ornata in circuito de blatta, habente in mediocrucem de chrisoclavo legente de nomini domini Leoni quarti Papae» (Longo 1991, p. 16). 

Come sostenuto da Di Gioia (Di Gioia 1982, p. 71) e Parlato (Parlato 2001, p. 329), possiamo supporre con attendibilità che l’edificio abbia subito una profonda revisione nella seconda metà del XII secolo, in occasione della consacrazione della cattedrale, avvenuta il 24 novembre 1074 (Aurigemma 1957, p. 39; Bianchini 1952, p. 12; Caciorgna 2008, p. 99) durante il pontificato di Gregorio VII (1073-1085). Si tratterebbe, dunque, del momento conclusivo per la costruzione della fase romanica, che andava a sovrapporsi ad un precedente edificio altomedievale.

In questo periodo le vicende della cattedrale sono strettamente connesse all’abbazia di Montecassino (Di Gioia 1982, p. 50): la chiesa di S. Cesareo, infatti, fu consacrata dal vescovo Ambrogio da Milano che appena qualche anno prima aveva presieduto alla consacrazione dell’abbazia cassinese. Radicali lavori di rinnovamento risalgono proprio al periodo in cui Terracina viene data in concessione da papa Alessandro II (1061-1073) all’abate di Montecassino, Desiderio (Caciorgna 2008, p.185). La fabbrica del 1074, infatti, «si muove in un preciso ambito culturale legato all’opera di rinnovamento ad ampio raggio promosso, nel territorio campano, dalle nuove tipologie sperimentate e diffuse a partire dalla ricostruzione della basilica desideriana di Montecassino» (Di Gioia 1982, p. 50). 

Questi scambi culturali avvalorano l’immagine di Terracina come una ‘città di frontiera’, secondo la definizione di Maria Teresa Caciorgna (Caciorgna 2008, p. 69). La città, infatti, fu a lungo al centro degli interessi papali; basti pensare che nel 1088 fu sede della «prima elezione di un pontefice avvenuta fuori di Roma» (Bianchini 1972, p. 12), quando si svolse nella cattedrale di S. Cesareo il conclave in cui fu eletto il monaco cluniacense Ottone di Châtillon (Parlato 2001, p. 229) col nome di Urbano II (1088-1099). Inoltre, la sua posizione geografica ha favorito ripetuti scambi ora con Roma, ora col meridione, in particolare grazie alla vicinanza della via Appia che ne ha condizionato lo sviluppo socio-economico (Caciorgna 2008, p.139).

Tornando alla struttura della cattedrale di Terracina, è verosimile pensare che essa fosse simile a quella di un altro edificio ricostruito su iniziativa di Desiderio tra il 1072 e il 1087, la chiesa di S. Angelo in Formis (Di Gioia 1982, p. 78; Parlato 2001, p. 330). Lo sviluppo planimetrico, in entrambi i casi necessariamente influenzato da preesistenze pagane, fu riutilizzato in S. Cesareo sfruttando l’intera lunghezza del podio del tempio romano e una parte della larghezza. L’impianto della chiesa terracinese si presentava, in questa fase, di tipo basilicale a tre navate e tre absidi con presbiterio soprelevato. Queste caratteristiche rimandano anche ad altri edifici meridionali, tra cui si ricorda il duomo di Salerno iniziato nel 1080 dal vescovo Alfano (Di Gioia 1982, p. 78), che avevano risentito dello schema con atrio, tre navate, transetto soprelevato e tre absidi della basilica di Montecassino nella sua fase desideriana. La chiesa di San Cesareo sarebbe, dunque, frutto di una maestranza locale «fortemente caratterizzata nelle sue componenti culturali ed estetiche che svolge un ruolo di mediazione tra le due aree di influenza» (Ibidem, p.14), vale a dire il Lazio e il Meridione.

Gli arredi liturgici, invece, appartengono a un arco cronologico successivo rispetto al corpo dell’edificio, individuabile a cavallo tra XII e XIII secolo, periodo in cui il potere del papato viene ristabilito a sfavore del precedente potere feudale della famiglia Frangipane. Un’importante testimonianza è costituita dal candelabro del cero pasquale, il quale presenta sulla base un’iscrizione che permette di datarlo al 1245; tale datazione può essere considerata un valido punto di riferimento anche per il campanile e per altri arredi marmorei conservati nell’edificio.

All’esterno una gradinata introduce il portico, composto da sei colonne di reimpiego con capitelli ionici e pilastri angolari che reggono una trabeazione rettilinea. A sinistra del portico si innesta la torre campanaria composta da quattro piani separati da cornici marcapiano. L’accesso alla chiesa è scandito da un arcone centrale frutto degli interventi degli anni Venti, così come gli archi ribassati che si trovano al di sopra del fregio musivo e che vanno a sostituire i precedenti archi ogivali. Al di sopra dello spiovente del portico emerge la facciata, fortemente alterata dai restauri settecenteschi.

L’interno della chiesa appare manipolato da pesanti interventi che ne hanno snaturato la facies medievale. Una visita pastorale del 1580 (Longo 1991, p. 16) documenta lo stato della cattedrale in una fase precedente ai lavori realizzati a cavallo tra Seicento e Settecento che ne modificarono la struttura: la fabbrica era coperta a capriata e la navata centrale ornata da affreschi già allora molto rovinati, otto colonne di granito collegate da archi componevano i filari che dividevano le navate. In mancanza di documenti specifici riguardanti le modifiche del XVII secolo, è possibile fare riferimento alle Visite ad Limina (Ibidem, p. 16), importante fonte per raccogliere informazioni sullo stato di conservazione degli edifici della diocesi, la cui selezione è stata scrupolosamente realizzata da Di Gioia (Di Gioia 1982, pp. 51-57).

Nel 1705 la Sacra Congregazione dei vescovi regolari promosse un restauro della cattedrale (Bianchini 1972, pp. 17-18), dopo che «il vescovo di Fondi mons. Vittorio Cuccio, Visitatore Apostolico inviato da Clemente XI, aveva verificato la giustezza delle proteste avanzate ormai da tempo dai cittadini terracinesi, per lo stato di abbandono in cui versava la loro cattedrale. La Sacra Congregazione impose allora al vescovo della diocesi mons. Ercole Monanni di eseguire i necessari lavori di ristrutturazione» (Grossi 1994, p. 161) del palazzo vescovile e della cattedrale, il cui soffitto era in parte crollato. Le varie trasformazioni rimandano all’aspetto che l’edificio possiede in gran parte ancora oggi. Si provvide, infatti, al risarcimento della copertura di navate, presbiterio e coro, all’impermeabilizzazione e alla sistemazione delle cappelle laterali; la navata centrale fu rialzata e coperta con un’ampia volta a botte illuminata da finestroni e pavimento e campanile furono risarciti (Bianchini 1972, p. 17).

Nel 1886 il sindaco di Terracina Luigi Risoldi sollecitò al Ministero della pubblica Istruzione l’avvio della pratica per far dichiarare la cattedrale monumento nazionale. La risposta giunse solo nell’aprile 1888, quando un responsabile della Direzione Generale Antichità e Belle Arti fu inviato a Terracina per un sopralluogo che avvalorasse la richiesta (Grossi 1994, pp. 170-175); ne seguì una relazione in cui Giuseppe Fiorelli, direttore generale delle Antichità e Belle Arti, dichiarò innegabile il valore storico-artistico dell’edificio, soprattutto per la stratificazione di stili avvenuta nel corso dei secoli (Ibidem, p. 175).

Nel 1926 furono promossi ulteriori lavori di restauro i cui documenti sono conservati nell’Archivio della Sovrintendenza ai beni architettonici di Roma e del Lazio (Longo 1991, p.17). In questa occasione furono demoliti le volte e i pilastri del portico, fu costruito un nuovo cornicione, si consolidò il campanile. Le fotografie scattate da Thomas Ashby tra il 1891 ed il 1925 mostrano chiaramente questo intervento, in particolare le modifiche apportate al portico. Nel corso della Seconda Guerra Mondiale furono ingenti i danni subìti dall’edificio; riguardarono in particolare crolli che coinvolsero campanile, portico e coperture, favorendo infiltrazioni d’acqua. Questi danni furono risanati solo dopo il 1951. Nei primi anni Sessanta, invece, ulteriori lavori di restauro scientifico localizzarono tracce dell’antico tempio romano all’altezza della cappella di San Salviano. È, infine, opportuno ricordare i restauri degli anni Novanta che interessarono il campanile e la facciata (Longo 1991, p. 17). In definitiva, la cattedrale di Terracina è una testimonianza importante che ribadisce il ruolo centrale della città di Terracina quale punto di connessione tra la cultura romana e quella meridionale: «è innegabile quindi che per le antiche sue costruzioni e rinnovazioni eseguite in diverso stile e tempi, essa sia un monumento rispettabile tanto per la sua Storia, come per le Arti, che per essere una delle più antiche basiliche insigni su tutte le chiese dell’antica e moderna diocesi, anche i pontefici la ebbero sempre in grande pregio ed onoranza» (Grossi 1994, p. 175). 

Bibliografia

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Autori

Elisabetta Masala