CORI - Chiesa di Santa Maria della Pietà - Il candelabro
Il candelabro
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Descrizione
Il cero pasquale di Santa Maria della Pietà risale al XII sec. ed è di probabile produzione beneventano-cassinese. Si riporta la descrizione che di esso fa Adolfo Venturi: “poggiato su due chimere dagli occhi cerchiati, con corpi a strie e a righe ondulate; la base cilindrica che si imposta sul corpo delle chimere è a filari di stelle ad incavo sormontati da animali rincorrentesi; quattro colonnette a strie, a cordicelle, a costoloni, si innalzano portando il capitello e la coppa del candelabro con palmette, triangoli e segni geometrici, tutto a trafori e a colpi di trapano” (A. Venturi, 1904, p. 889).
E’ scolpito in marmo bianco a grana fine ma appare ricoperto di una spessa patina bruna. Il candelabro è composto di tre parti in quanto il basamento, il fusto e la coppa sono stati ricavati ciascuno da un diverso blocco di marmo.
Attualmente i pezzi sono tenuti insieme in maniera un po' rozza con della malta; il basamento e il fusto sono un po’ girati l’uno rispetto all’altro. L’altezza totale del candelabro, incluso il plinto del basamento è di m. 2,34; per le altre misure si veda il disegno di H. Torp (17). Il basamento è costituito da due figure di leoni accostate. Gli animali (leoni) non hanno la stessa dimensione ma entrambi rivolgono la testa verso l’osservatore ringhiando minacciosi. I singoli tratti delle teste animalesche sono molto segnati e intagliati con contorni aguzzi e lineari.Gli occhi senza pupille sono posti in alto. Nell’animale più piccolo gli occhi sono inoltre circondati da un largo orlo ovoidale. Le mascelle si rigonfiano in un forte rilievo che in corrispondenza della bocca, del naso e degli occhi si stacca con una profonda scanalatura. I nasi sono piatti e le punte larghe, le narici sono appena accennate dal trapano. Le criniere degli animali partono dalla fronte e scendono verso la nuca con riccioli stilizzati e ondulati a spirale. Il pelo invece è sostituito da una trama di solchi ondulati, leggermente cesellati, che al congiungimento delle due protomi si configurano in un ornamento a forma di giglio i cui contorni ricurvi continuano, senza interruzione, i solchi del vello. L’animale di destra con gli artigli da uccello da preda ha raspato il terreno, ma le zampe ora sono allungate. L’altro animale invece ha conficcato le unghie in un cervo che tira a sé, per cui i solchi del vello si increspano come vortici ed esprimono la tensione dei muscoli. Le zampe degli animali sono vigorose ma sottili e in effetti il peso del fusto e della coppa del candelabro è portato dai grandi supporti che sono stati lasciati sotto il ventre delle bestie. Gli animali descritti sono dovuti più alla fantasia dell’artista che non a osservazioni naturalistiche e hanno tratti quasi umani, mentre le zampe hanno caratteristiche da uccello da preda. Eppure non vi sono dubbi che l’artista abbia voluto raffigurare dei leoni; leoni mostruosi, terrificanti e per metà fantastici quali si trovano spesso nel Medioevo per rappresentare le potenze infernali e diaboliche. Gli animali danno l’impressione di essere usciti da una lotta: il leone più piccolo ha la punta del naso spezzata, mentre il più grande la un grosso buco alla tempia sinistra proprio dietro l’occhio. Questo buco ha ca. 3 cm di profondità ed è originario. La criniera del leone, le rughe o i solchi del vello che circondano il buco sono stati tracciati tenendo conto della sua presenza. Non vi è traccia che esso sia mai servito per inserirvi qualcosa, non si può dunque interpretarlo in altro modo che come una piaga aperta, non guarita.
La parte inferiore del fusto del candelabro ha la forma di un tamburo a base riccamente profilata ed è ornata da rilievi. Qui si osservano un toro con grandi corna, un cervo, due leopardi ed un grifone ad ali spiegate, coda fluttuante e zampe enormi, tra palme fruttifere stilizzate ed altra vegetazione. Lo sfondo è intessuto di una fitta trama di stelle. Una fascia di allori stilizzati segna il passaggio dal tamburo alla parte principale del fusto, composta di quattro colonne sovrastate da un elemento architettonico. Le colonne sono scolpite per tre quarti e hanno profonde scanalature a spirale, i capitelli sono formati da palmette a ventaglio, che si continuano in un ornato floreale stilizzato disteso a rete, così da riunire i quattro capitelli a formare un unico pulvino (Torp 5 a-d). A sua volta il pulvino sostiene una testata cubica che da tutti e quattro i lati presenta pannelli triangolari rientranti e che culmina in una cornice a dentelli. Tutta questa struttura dà a questa parte del fusto l’aspetto di una aedicula o di un ciborium a quattro colonne, anche se effettivamente le colonne sono scolpite solo per tre quarti e quindi non vi è vuoto fra esse. La coppa che corona il candelabro riposa con la base rotonda sulla cornice del ciborio ed è adorna di un fregio a foglie di palma stilizzate. La coppa è incavata per l’inserimento del cero pasquale. La parte ornata della coppa e la parte superiore del ciborio sono tempestate di fori fittamente cesellati a colpi di trapano, disposti in corrispondenza alle forme e alle linee della struttura degli ornamenti. Non vi è traccia che lasci supporre che tali fori dovessero servire per l’inserimento di smalti colorati, come si osserva in altri monumenti, ma ha un effetto decorativo di per sé. Il basamento è stato concepito per essere osservato frontalmente, dato che la parte posteriore è solo abbozzata.
Non è si trovano corrispondenze con questo candelabro nell’area romana né si pensa possa essere un prodotto dell’artigianato locale, non essendo Cori all’inizio del XII sec. un centro importante. Il Torp lo inserisce – tramite un confronto con opere contemporanee – all’interno della tradizione campana o pugliese. Si possono paragonare i leoni che si trovano sull’architrave della cattedrale di Carinola o quello del portale della cattedrale di Sessa Aurunca. Per i capitelli a palmette si trova corrispondenza nella bottega di Accetto in Puglia, dove foglie e fiori erano già abitualmente usati per decorare i candelabri. Si confrontino le transenne di Sant’Aspreno in Napoli – grifone, certe piante o le sculture sui portali della cattedrale di Salerno, ma anche gli exultet della stessa epoca e zona. La trama di stelle è già familiare in Campania e nel Lazio, ma anche nelle stoffe bizantine (Torp 1962, p. 87) e nel Lazio meridionale fra Benevento e Terracina dove già nel XI sec. c’era una ricca tradizione di scultura. Per la datazione il Torp si rifà alle corrispondenze stilistiche tra le forme del candelabro e la cattedra di Canosa (Romoaldo 1078-89), le porte di Salerno (prima del 1085), i capitelli di S. Menna (consacrata prima del 1114). I leoni possono essere avvicinati a quelli di alcuni capitelli della cripta di S. Nicola di Bari (1087-98), alla cripta del duomo di Otranto (1088 ca.). La datazione vicino al 1100 per analisi stilistica risulta quindi plausibile, soprattutto dal confronto con la cattedrale di Salerno. Forse lo sviluppo del candelabro si può ricondurre in parte alle miniature dell’Exultet di Montecassino (Torp 1961, p. 93). La caratteristica principale del candelabro risiede nella sua forma a colonna che esprime il tema principale: la glorificazione del Grande Imperatore, il Cristo Risorto, la vittoria della luce sulle tenebre. Il candelabro serve nella sua forma a “prolungare” il cero pasquale e quindi ad innalzare la luce di Cristo. Si aumenta l’elemento portante per portare più in alto il “lumen Christi”. Cero e candelabro idealmente si fondono. La cera è il corpo umano di Cristo, ma partecipa alla divinità della fiamma perché il corpo di Cristo dopo la resurrezione è divinizzato e il candelabro diventa così il trono di Cristo. Il particolare trattamento del fusto, a quattro colonne tortili, gli conferisce la struttura di un ciborio che secondo l’iconografia medievale rappresenta il Santo Sepolcro, il centro degli avvenimenti pasquali e testimonianza tangibile della resurrezione. E’ anche il luogo della vittoria sulle forze infernali espressa nei due leoni sottomessi alla colonna-trono del Vincitore: Cristo calpesta Satana incatenato e con la punta lanceolata della sua asta crocifera gli trafigge la tempia o la guancia. Satana infatti nella bibbia è spesso raffigurato come leone: “Siate temperanti,vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare.” (1 Pietro, 5.8). Questa potrebbe essere la spiegazione della ferita del leone più grande. I leoni-forze infernali sono sotto il giogo del candelabro-trono di Cristo, da ciò la loro rabbia (Torp 1961, p. 104).La combinazione della sconfitta delle forze della morte, il fusto a forma di Santo Sepolcro e il candelabro–trono rendono questo candelabro un monumento alla Resurrezione. Di questa vittoria su Satana, tutta la terra gioisce: felicità e fecondità sono rappresentate nel candelabro dagli alberi e dagli animali che decorano il tamburo:scomparso l’odio e cantata la vittoria, animali domestici e bestie feroci pascolanoinsieme nella fecondità della natura su uno sfondo intessuto di stelle, ovvero luci celesti. Cristo siede in trono avvolto da questo splendore. E’ il gaudium terrae, la gioia della terra per la vittoria di Cristo Risorto. Cristo è la fonte della luce e della vita, la luce che vince le tenebre e il rinnovarsi della vita. L’antica gioia pagana per il miracolo della primavera che già allora, presa a simbolo dell’avvento della nuova era cristiana, veniva espressa in decorazioni floreali come nell’Ara Pacis, e rivive nella Pasqua cristiana, dopo che questa ha assimilata forme e simboli pagani nella propria liturgia. Il candelabro di Cori con la sua forma a colonna è il primo ad essere così caratteristico, ed è anche l’unico ad avere con quattro colonne a formare un ciborio. E’ però anche il primo che non poggia solo su un basamento, ma è sorretto da leoni. Esempi successivi possono essere trovati nel candelabro di Carsoli, S. Maria Bonimaco 1180 ca., Terracina, S. Lorenzo, SS. Cosma e Damiano con due leoni, Anagni con due sfingi, che richiamano un trono sorretto da colonne (Exultet Barberini 11 b), (Torp 1962, p. 99). Il pezzo si inserisce in una tradizione di scultura non ancora influenzata dalla nuova maniera plastica romana. Lo scultore si mantiene entro i limiti dell'arte preromanica, come dimostra il confronto con la cattedrale di S. Nicola in Bari del 1100 ca. La datazione di A. Venturi ai primi anni del sec. XII deve pertanto considerarsi esatta; ma più che opera di un marmorarius romano il candelabro sembra rifarsi ad esempi esistenti nel Lazio meridionale, in Campania e in Puglia, esso è stato probabilmente eseguito in una località tra Benevento e Terracina, in un'area che già nel sec. XI aveva una ricca e fiorente tradizione di scultura di influenza normanna. Le influenze e i passaggi di popoli stranieri si possono riscontrare nell’attacco da parte dei Saraceni nel IX secolo ed in seguito dalle truppe di Federico Barbarossa (Angelini 1983, p. 114).
Nel 1887 ci fu una richiesta per la vendita del candelabro (ADV, 1887, 3 agosto). Un tale Arnoldo Terracina proponeva di comprare il candelabro “dichiarato di niun valore da persone competentissime” e definito un “bastardume d’arte” al “prezzo esorbitante (…) di L. 3200”. Poiché la parrocchia era sempre in cerca di fondi per la manutenzione della chiesa, “al Capitolo sembrò di aver vinto un terno al lotto”.Purtroppo per la parrocchia, poco dopo la vendita si “scatenò una vera tempesta: si disse che era un oggetto prezioso”. Non fu messo in discussione il prezzo di vendita quanto la vendita stessa. Si contestava la facoltà della parrocchia di alienare pezzi di arredo della chiesa, passati sotto la tutela dello Stato post-unitario. Infatti, la vendita fu in seguito annullata e il candelabro recuperato. Non è stato possibile documentare l’ingresso del candelabro nella chiesa di S.Maria della Pietà, ma il fatto che il Gesualdo nel suo resoconto non ne faccia cenno, pur trattandosi di un pezzo certamente particolare e degno di nota, ci fa presupporre che sia stato portato qui in seguito alla ristrutturazione, forse proveniente da un’altra chiesa di Cori, dato che compare nel resoconto del Laurienti del 1637: “si conserva invece l’antico candeliere di marmo sorretto da due leoni appartenuto forse al tempo pagano.” (Laurienti 1967, p. 32). Risulta posizionato nella navata centrale,all’altezza del terzo pilastro a sinistra. Le ipotesi sulla provenienza dal sud della manodopera, si basano non solo sull’analisi stilistica ma anche sul fatto che Cori nel XII secolo era un punto di controllo sia verso Segni, ma soprattutto verso sudo, ovvero Carpineto Romano e Cassino. La zona era diventata terreno di scontri a causa delle tensioni fra Pasquale II e i Conti di Tuscolo. Controllando le vie verso Roma poteva intercettare le varie maestranze che si muovevano nella Campagna e Marittima verso la città papale.
Bibliografia
Accrocca A., Cori: storia e monumenti, Roma: P. Maglione, 1933
Angelini E., Bibliografia e saggio storico sulla bibliografia della provincia di Latina, 3a edizione aggiornata al 1983, edito a cura della camera di commercio, Latina
Bertelli G. ( a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol. XV, Le diocesi della Puglia centrosettentrionale, Spoleto 2002
Manciocchi P., Alessi F., Cori storia e monumenti, Latina, Etic, 1987
Melucco Vaccaro A., (a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol. VII n. 3. La diocesi di Roma, Spoleto 1974
Torp H., Monumentum Resurrectionis. Studio sulla forma e sul significato del candelabro per il cero pasquale in Santa Maria della Pietà di Cori. Acta ad archaeologiam et artium historiam pertinentia. Institutum Romanum Norvegiae, Universitas Osloensis. Roma 1962
Ramieri A.M. (a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol.V, La diocesi di Benevento, Spoleto 1983
Trinci Cecchelli M. (a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol. VII n. 5. La diocesi di Roma, Spoleto 1976
Venturi A., Storia dell’arte italiana, III, L’arte romanica, Milano 1904
ADV, Titolo I, Sez III, 3 agosto 1887
Autori
Susanne Meurer