CORI - Chiesa di Santa Maria della Pietà

Chiesa di Santa Maria della Pietà

Coordinate GPS: 41.643125,12.910949

Sottoschede

Descrizione

Notizie storiche:

La chiesa di S. Maria della Plebe (dal XVII secolo “della Pietà”) sorge nella parte bassa nel rione di Porta Romana. Diverse fonti, come il Laurienti (Laurienti, 1967) la vogliono costruita sopra i resti del tempio dedicato a Diana e Fortuna, ma non vi sono ritrovamenti che possano confermare questa leggenda. Vicino alla chiesa, in via della Collegiata è visibile comunque un muro in opera quadrata, base di un antico edificio romano e nella piazza vi era, fino a qualche anno fa, un’ara marmorea con dedica alla Fortuna (Manciocchi 1987, p. 46).

La chiesa è menzionata per la prima volta in un atto di donazione del 1273 (Pistilli 2008, p.65) anche se non esiste alcun documento che ne attesti l’epoca di costruzione. Studi recenti sull’urbanistica medievale corese ed alcuni elementi di arredo architettonico, in parte ancora in loco, consentono di datare la sua 2 fondazione tra l’XI ed il XII secolo; periodo questo in cui Cori, dopo una lunga decadenza passò ad un nuovo processo di sviluppo sociale, economico ed urbano che porterà la città a diventare libero comune. Un altro documento antico di cui si ha notizia è una bolla di indulgenze concesse alla chiesa da Bonifacio VIII nel 1299, ma di questo atto, anche se è registrato negli inventari dell’Archivio di S. Maria della Pietà, oggi non se ne ha più traccia. Centro polarizzante della “Partita viae maioris”, una delle otto circoscrizioni in cui era divisa la città in epoca medievale, S. Maria della Pietà fu fin dalla sua origine la chiesa principale di Cori. In un questionario della Congregazione del Concilio del 1931, spedito a tutte le parrocchie della zona, il parroco la descrive come segue: “Non si conosce l’epoca in cui fu edificata. E’ però tra le più antiche chiese d’Italia, come risulta dai documenti d’archivio. Il titolo di questa Chiesa Collegiata Perinsigne e Primaria è S. Maria della Pietà o della Plebe. Questo secondo appellativo “della Plebe” fu dato alla nostra Chiesa nel 1600, in commemorazione del fatto che il popolo di Cori spontaneamente e gratuitamente si prestò al suo ingrandimento e restauro. (…) Fu riedificata, come già si è detto, nel 1600; e fu consacrata di nuovo, dopo i grandi restauri, l’8 Febbraio 1699, essendo Vescovo di Velletri il Cardinale Cybo. La consacrazione fu fatta dal Suffraganeo del Card. Cybo, Mons. Alderani Vescovo di Isernia.” (ADV Sez. I, Tit. III, 1931). Di detta consacrazione è rimasta una iscrizione marmorea, anch’essa riportata negli archivi (1,2). (ADV Sez. I, Tit. III, 1849) La chiesa mantenne la sua forma originaria ad impianto basilicale in stile romanico fino alla seconda metà del XVII secolo quando, a causa della sua fatiscenza, si dovette procedere a lavori di ristrutturazione e di restauro. Il Laurienti riferisce che il bellissimo campanile era caduto per la sua vetustà e che durante i lavori nulla fu risparmiato e molte cose preziose andarono perdute (Laurienti 1967, p. 32).

Il campanile fu riedificato in modo molto semplice, mentre la chiesa fu abbellita internamente alla “maniera moderna” del ‘600. Furono mantenute le campane, di cui la maggiore è del 1003 ed era ancora in loco nel 1931 (ADV Sez. I, Tit. III, 1931). Al termine dei lavori fu nuovamente consacrata con il nome S. Maria della Pietà dal vescovo di Isernia Biagio Terzi l’8 febbraio 1699 (vedi planimetria del rifacimento: Foto interno, 2).Ai lavori eseguiti a metà del XIX sec. – e che comprendevano anche la piazza antistante la chiesa - risalgono i uovi pavimenti. Il presbiterio fu circondato da una balaustra in marmo di Carrara, l’altare maggiore fu rivestito in marmo policromo ed inoltre furono rinnovati gli stalli lignei del coro. All’epoca la chiesa è stata dotata anche di un organo di pregio (Archivi S. Maria della Pietà, p. 7). Ulteriori lavori sono stati eseguiti nel 1927-28 (sistemazione del tetto e di alcune finestre, (AVV Sez. I, Tit. III, 1931), e negli anni ’50 di questo secolo ma si è trattato soltanto di piccoli interventi di risistemazione e di manutenzione che non hanno apportato ulteriori modifiche alla struttura (AVV Sez. I, Tit. III, 1954).

Esterno:

S. Maria della Pietà si trova in Piazza della Collegiata, una piazza che deve il suo volto attuale ad una sistemazione del 1841. In quell’occasione furono trovati degli oggetti antichi che furono sistemati in delle nicchie ricavate nel muro perimetrale della piazza semicircolare antistante la chiesa (P. Brandizzi Vittucci 1968, p. 45) (1-10). Tali frammenti sembrano confermare la presenza su quest’area, in epoca romana, di un edificio pubblico, del quale però non si è in grado di stabilire con certezza la funzione (Manciocchi 1987, p. 48) anche se un’iscrizione che cita la Fortuna ritrovata nei pressi, hanno fatto affermare agli storici fin dal XVIII secolo che questa chiesa fu edificata sui resti di un tempio dedicato alle dee Diana e Fortuna. Tale affermazione fu sostenuta anche dalla presenza di un muro in opera quadrata (32) visibile in via della Collegiata, alto m. 11 e lungo m. 7 circa, realizzato in regolari blocchi di tufo di circa 60 cm. ciascuno di altezza, posti in opera per testa e per taglio. I frammenti di maggior valore (statua marmorea acefala) ritrovati nella piazza citati dalla Brandizzi Vittucci ora non si trovano più in piazza della Collegiata mentre vi rimangono i vari rocchi o basi di statue. Uno dei frammenti invece è stato spostato all’interno della chiesa (35)(P. Brandizzi Vittucci 1968, p. 45).

L’attuale facciata della chiesa risale alla seconda metà del ‘700. Al centro di essa è posto il portale principale decorato nella parte alta con un timpano spezzato; ai lati sono posti i due portali minori che immettono nelle navate laterali. Verticalmente la facciata è ripartita in tre da lesene. In alto l’attico. Gli stipiti dei portali sono realizzati con conci di riuso provenienti dai due amboni medievali in marmo abbattuti durante i lavori del XVII secolo: “Furono allora disfatti alla sinistra ed alla destra dell’Altare maggiore due antichissimi pulpiti di marmo per adattarli alle nuove porte che ora ivi si manifestano.” (Ricchi 1967, p. 348) (18, 21, 22, 23, 23a). La facciata ed i portali sono rimasti invariati da allora. Il Laurienti nomina anche un sasso sulla porta della Chiesa sul quale si leggeva “Ave Maria piena di grazia il Signore è teco, benedetta fra le donne”. (Laurienti 1967, p. 32). Il Laurienti suggerisce che tale iscrizione possa essere posta dai corani nel momento in cui abbandonarono l’idolatria e consacrarono l’antico tempio alla Vergine Maria, per sostenere l’ipotesi dell’esistenza del tempio di Diana e Fortuna ma tale iscrizione oggi non è più visibile. Da via della Collegiata si vede la cupola della chiesa, tonda e con alto tamburo (11-14), ricoperta in tegole come il resto del tetto. A sinistra della chiesa è posto il campanile con orologio che fu edificato nel XVII sec. sullo stesso luogo del campanile precedente (37-39). Il campanile originario fu probabilmente in stile gotico o romanico, descritto dal Laurienti come “caduto per la sua vetustà” (Laurienti 1967, p. 32) . “L’antico Campanile situato allora verso la sagrestia; fu fin dalle radici costrutta la nuova Torre che ora spicca ad un lato della porta maggiore, (…) fu duopo fondarlo con mura di straordinaria larghezza (…).”(Ricchi 1967, p. 349). A destra della chiesa si trova l’oratorio della confraternita del Gonfalone, eretto nel XV secolo (17, 27-31).

Interno:

Riferisce il Laurienti: “Questa chiesa era fabbricata secondo antichi modelli, ora restaurata dall’Arciprete L. A. Ciavera ha perduto l’antica forma.” (Laurienti 1967, p. 32). Non esistendo disegni della chiesa precedenti al suo restauro, per la descrizione degli interni ci si deve rifare alle fonti, in primis la visita pastorale di card. Gesualdo del 26 e 27 maggio del 1595, il cui resoconto è custodito presso l’archivio diocesano di Velletri, e il racconto del Laurienti. Esiste però la planimetria della chiesa dopo la ristrutturazione (2). E’ stato inoltre possibile ricostruire il disegno del pavimento della chiesa (1) (Di Meo, 2012, p. 218), poiché il pavimento fu rinnovato solo nel XIX secolo. (Archivi S. Maria della Pietà, p. 7). La chiesa era stata costruita in forma di basilica a tre navate e transetto con diverse cappelle. Le pareti ora sono intonacate e non permettono di risalire al tipo di materiale da costruzione originaria. Gesualdo nel suo resoconto descrive le condizioni generali della chiesa e del suo contenuto, soprattutto l’arredo ecclesiastico, ma manca una descrizione sistematica dell’architettura in generale. Purtroppo le condizioni del manoscritto lo rendono poco leggibile. Nella sua visita, padre Gesualdo descrive la chiesa come molto fatiscente, con le mura “cosperse di polvere”, le cappelle “inordinate” ed “indecenti” e il pavimento “fratturato”. In alcune delle cappelle era vietato celebrarvi qualsiasi funzione, pena la sospensione. Questo da un lato a causa della loro fatiscenza e “indecenza”, in parte perché mancava chi mantenesse le cappelle che quindi erano infruttuose, non producevano reddito per la parrocchia. Spesso Gesualdo consiglia di coprire gli arredi consunti con dei teli per nascondere lo stato di degrado. Nella descrizione del Gesualdo si percepisce un generale senso di abbandono e di trascuratezza: le reliquie erano “inordinate et confuse” e tenute in modo “indecentissimo” (ADV, Titolo I, Sez, III). Fra le reliquie menzionate compaiono reliquie di S. Giovanni e una delle pietre usate per la lapidazione di S. Stefano. Una delle cappelle nominate è dedicata a S. Cristoforo (mantenuta da una confraternita) e una al Santissimo Crocifisso. Quest’ultima conserva un’antichissima immagine del crocefisso che però è rovinata (fractum, perciò si pensa ad una tavola). La cappella non ha sovvenzioni o redditi ed è proibito celebrarvi funzioni. Vi è poi un altare dedicato al Mistero del Rosario con un’icona della Beatissima Vergine, una croce lignea e due candelabri. I conti di tale cappella sono ritenuti soddisfacenti. Inoltre si lamenta che vi esiste un solo confessionale e consiglia di portarli a due. Gesualdo parla anche delle suppellettili (cotte, palli) che sono tenute in modo inordinato e confuso negli armadi. Il Gesualdo parla di undici finestre, per la maggior parte aperte. Le pareti e il coro sono da pulire prima di tinteggiarle. Il campanile viene descritto come pericolante e Gesualdo consiglia di rimuoverlo. Dall’abbandono generale si salva l’altare maggiore, dove si trova un tabernacolo sotto a un ciborio a quattro colonne. Tale tabernacolo, di legno è dipinto all’interno e sui lati ed ha una coperta argentea. Vi è anche una “pia e decente” immagine del crocefisso, ma una sola acquasantiera in marmo. Nomina anche la cattedra vescovile, già addossata alla colonna in “cornu evangelii”, ovvero a sinistra. L’altare maggiore con sette cancelli davanti e ai lati è ritenuto di media decenza.Non viene nominato il candelabro di Cori (vedi scheda nipote). Gesualdo ritiene che le cose preziose della chiesa siano troppo vecchie e malridotte, fatta eccezione per la porta maggiore. Al di sopra di essa sono dipinte delle immagini: sul lato esterno un immagine del Salvatore, all’interno la Beata Vergine fra i Santi Pietro e Giovanni Battista. Conclude la descrizione affermando che, escluso il portone maggiore, non vi è nulla di prezioso, né dentro, né fuori e che la chiesa necessita di interventi di manutenzione, altrimenti rischia di crollare.

Possiamo pensare che la visita di Cardinal Gesualdo sia stata decisiva per l’avvio dei lavori di rifacimento. Scrive Antonio Ricchi, storico del XVIII sec: “Ostentava questa nel secolo andato le sue pareti guaste dalle corrosità del tempo; ma sotto l’anno 1660 (…) fu riformata ed abbellita con nobile e moderna architettura, con sopra volte gettate su le tre antiche navi e fabbricata con archi maestosi scorniciati di vaghi e belli stucchi; e perché le basi de’ suoi angoli, che si ergono intorno al tabernacolo si riconobbero dagl’artefici insufficienti a sostenere il peso della macchina della cuppola, fu (…) ornata con pittura di chiari oscuri nella guisa più somiglievole a S. Ignazio del Collegio Romano di Roma.” (Ricchi 1967, p. 347-348). Furono distrutti due pulpiti marmorei: “Furono allora disfatti alla sinistra ed alla destra dell’Altare maggiore due antichissimi pulpiti di marmo per adattarli alle nuove porte che ora ivi si manifestano.” (Ricchi 1967, p. 348) (Foto esterno 21-23a).

L’interno è a croce latina con tre cupole, una ellittica sul presbiterio, le altre circolari sui transetti. Ora la chiesa si presenta con otto finestre laterali (quattro per lato), tre cappelle sul lato sinistro e quattro sul lato destro più una nel transetto destro. Inoltre, all’interno della chiesa si trovano alcuni elementi antichi come per esempio un capitello figurato con quattro teste femminili che nel 1968 risultava essere ancora in piazza (Brandizzi Vittucci 1968, p. 47). Ora si trova all’interno della chiesa, vicino al candelabro e alla cattedra dove viene utilizzato come leggio (3,4).

Bibliografia

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Volpi G.R., Antiche memorie appartenenti alla città di Cora, ricavate dalla celebre, ed erudita opera latina del Lazio profano / composta dal padre Giuseppe Rocco Volpi ... ; e nell'italiana favella tradotte dall'abate Giuseppe Finy da Cora, Roma 1732

FONTI

ADV, Sezione I, Titolo I, Visita pastorale di Cardinal Gesualdo, 1595

ADV, Sezione I, Titolo III, anni 1819-1961

Archivi della Collegiata di Santa Maria della Pietà in Cori, presso Sovrintendenza Archivistica per il Lazio,

S. Laurienti, Historia Corana, cc. 47v –49v, Archivio Storico Comunale di Cori Preunitario, Reg. G, copia del 1870

Schede OA Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Lazio (Provincia di Latina, Comune di Cori - S. Maria della Pietà)

Autori

Susanne  Meurer