CORI - Chiesa di Santa Maria della Pietà - Il sarcofago

Il sarcofago

Immagini


1) Presbiterio

2) Presbiterio, sarcofago

3) Presbiterio, sarcofago, lato sinistro

4) Presbiterio, sarcofago, lato destro

5) Presbiterio, sarcofago, retro

6) Presbiterio, sarcofago, esapetalo

7) Presbiterio, sarcofago, croce

8) Presbiterio, sarcofago, Agnello crucifero

9) Presbiterio, sarcofago, iscrizione sopra l'esapetalo

10) Presbiterio, sarcofago, iscrizione sopra l'Agnello crucifero

11) Guardia Vomano, chiesa di San Clemente, altare, particolare della decorazione con Agnello crucifero

12) Larino, cattedrale, facciata, particolare dell'Agnello crucifero sopra al rosone

13) Larino, chiesa di Santa Maria Assunta e San Pardo, portale, particolare dell'Agnello crucifero

14) Campobasso, chiesa di San Leonardo, portale, particolare con l'Agnello crucifero

15) Atri, cattedrale, altare

16) Atri, cattedrale, portale destro, particolare dell'Agnello crucifero

Descrizione

Sarcofago in marmo, ora utilizzato come base dell’altare maggiore. Solo la parte anteriore è decorata mentre il retro e le parti laterali sono lasciate grezze e sono di più piccole dimensioni del fronte. Questo fa supporre una posizione originale a parete o in una nicchia. Le ridotte misure interne (120 x 30 x 20 cm) portano a supporre che in origine esso fosse un’urna più che un sarcofago vero e proprio, inoltre manca la lastra di copertura. Sul davanti il sarcofago presenta tre grandi motivi scolpiti: al centro una croce greca iscritta in un cerchio, a destra l’agnello mistico e a sinistra un motivo floreale a esapetalo. I motivi laterali – esapetalo e agnello crucifero – sono dei tondi iscritti in un rettangolo. I motivi a rilievo fanno pensare a delle incrostazioni cosmatesche piuttosto che a niello o mastice, non molto diffuse nella zona. Sulla lastra nel XV sec. è stata aggiunta una epigrafe in metrica che ricorda le virtù di tale Alberto, di cui si hanno solo notizie incerte.

L’iscrizione recita sul lato sinistro: “(illeggibile) FACIT ESSE CORA VIRTUT LUCE(ill.) DE CORA” E sul lato destro: ALBERTI PULC. IACET HIC” La lastra di copertura mancante potrebbe essere identificata in una lastra fratturata proveniente da S. Maria della Trinità e che reca un’iscrizione che segue lo stesso schema metrico dell’iscrizione sul sarcofago (esametra leonino) (Casimiro Da Roma, 1744, p. 96):

HIC PIUS ALBERTUS (CHRISST)O DONANTE SEPULTUS

VIRGINIS HAC SANCTA MATRIS REQUIESCET IN AULA.

Entrambe le iscrizioni sono da considerarsi di buona fattura, con le lettere di uguale altezza e ben spaziate. Laurienti nella sua Historia Corana riferisce di un beato Alberto, un benedettino morto a Cori nell'ospedale del Gonfalone e poi sepolto nella chiesa di santa Maria al Monte. Casimiro da Roma, avendo come fonte il Laurienti, nel riportare il testo dell'epigrafe annota il fatto che essa si riferisce a un abate del monastero della Trinità, ma questa notizia non trova altre conferme documentali. Come identità di Alberto (che nelle iscrizioni è caratterizzato solo dalle parole pulcher e pius, senza precisi cenni allo status sociale) erano state proposte diverse ipotesi: che si trattasse di un novizio (pulcher) del monastero benedettino o comunque membro di una confraternita, o di un uomo pio che donava beni alla chiesa, o ancora di un eremita urbano (Pesiri 2013), un “recluso” che aveva dedicato la sua vita alla rinuncia e alla preghiera, attirando in tal modo la benevolenza divina sulla città di Cori e per questo venerato dalla comunità. Alberto sarebbe stato inizialmente sepolto a Santa Maria della Pietà dove le sue spoglie sono state probabilmente trasportate, si sarebbero spartite – forse contese – il suo monumento sepolcrale. Il sarcofago viene citato dalle guide come “cosmatesco”.  L’attribuzione generica di “cosmatesco” potrebbe trovare riscontro nella presenza dei fratelli Pietro e Giovanni Vassalletto a Cori, come è stato documentato dal Claussen (Claussen 1987, p. 109 e 110). A Cori è stato trovato un frammento di architrave da ciborio con l’iscrizione:

+PETRVS BA’SALLETTI

ET IOHS FRAT E(IV)S FE

CERVNT HOC OPVS

Il frammento, databile all’inizio del 1200, è stato ritrovato sul luogo in cui si trovava la chiesa di S. Pietro, distrutta durante la seconda guerra mondiale. Sul retro del frammento si trova un’antica iscrizione, inoltre mostra tracce di un riutilizzo durante il medioevo.

Il sarcofago è stato spostato nella chiesa soltanto verso la fine del secolo scorso, come dimostra una foto dell’archivio di Marburg che lo mostra all’esterno, nel cortile della sagrestia. Si potrebbe ipotizzare la provenienza da un’altra chiesa, forse la stessa S. Maria della Trinità. Il sarcofago ha subito per lungo tempo un uso improprio: nel 1762 figura fra i beni della Collegiata come serbatoio d’acqua, e successivamente utilizzato come serbatoio nel cortile della sacrestia, come si può vedere dalla fessura sul lato inferiore della croce che potrebbe essere stato l’alloggio della cannella. Ora tale fessura risulta stuccata. Come luogo di provenienza si possono trovare corrispondenze sempre nell’Italia centro-meridionale, in particolare nell’area abruzzese. Ci sono vicinanze con la lastra dell’altare di San Clemente a Guardia Vomano (Abruzzo), soprattutto per quanto riguarda l’agnello crucifero con la testa rivolta all’indietro. Il paliotto d’altare risale a metà del XII ca. e sarebbe opera di Roberto e Rogerio, autori del ciborio sovrastante l’altare. L'altare, realizzato in marmo cipollino lavorato a niello, è dominato al centro da un Agnello crucifero racchiuso in un clipeo, circondato tutt'intorno da un ornato fittissimo di motivi cruciformi e vegetali racchiusi entro formelle o fiori quadrilobi. L'opera presenta affinità notevoli per tecnica ed ornato, con la lastra posta sul retro dell'altare della cattedrale di Atri (TE), datata entro il 1140 (16). Anche qui la tecnica è la stessa e presenta un agnello crocifero con la testa rivolta all’indietro. L'autore è un certo 'Raulino', che si firma: Raulino me fecit.

L’elemento dell’agnello crucifero con la testa rivolta all’indietro si riscontra anche nel rosone della chiesa dell’Assunta e San Pardo di Larino (Campobasso) e della facciata di San Leonardo di Campobasso. L’ipotesi di una provenienza dall’area abruzzese-molisana trova conferma in un recente studio (Tabanelli 2013) che mette a confronto il sarcofago di Cori ed un sarcofago di Alba Fucens del XII-XIII sec. che presenta la stessa iconologia (esapetalo, croce, agnello), anche se in rilievo e senza inserti di malte colorate. Anche qui si tratta di un sarcofago destinato ad ospitare le spoglie di monaci e ad essere incastrato a parete.

Bibliografia

Claussen P.C., Magistri doctissimi romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum, 1), Stuttgart 1987

Coden F., Corpus della scultura ad incrostazione di mastice nella penisola italiana (XI-XIII sec.), Padova 2006

Bertelli G. (a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol. XV, Le diocesi della Puglia centrosettentrionale, Spoleto 2002

Pesiri G., Il pio Alberto, un beato di Cori?, in Cori nel Medioevo. Memorie e sopravvivenze (atti in corso di pubblicazione), 15 giugno 2013

Ramieri A.M. (a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol.V, La diocesi di Benevento, Spoleto 1983

Tabanelli M., Il sarcofago del pio Alberto, in Cori nel Medioevo. Memorie e sopravvivenze (atti in corso di pubblicazione), 15 giugno 2013

Trinci Cecchelli M. (a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol. VII n. 5. La diocesi di Roma, Spoleto 1976

Melucco Vaccaro A. (a cura di), Corpus della scultura altomedievale, Vol. VII n. 3. La diocesi di Roma, Spoleto 1974

Autori

Susanne Meurer