SERMONETA - Chiesa di San Michele Arcangelo

Chiesa di San Michele Arcangelo

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Immagini


1) Esterno (foto Autore)

2) Esterno,

3) Esterno, protiro pensile

4) Interno, targa

5) Interno, pilastri compositi

6) Pianta della chiesa

7) Interno, pilastro composito

8) Interno, peduccio

9) Sermoneta, chiesa di S. Maria Assunta, peduccio

10) Campanile, interno, spigolo

Descrizione

Le fonti riguardanti la chiesa di S. Michele Arcangelo di Sermoneta scarseggiano e le uniche a disposizione, soprattutto per quanto riguarda l’edificazione e la consacrazione, sono tratte da Notizie istoriche, e sacre e profane appartenenti alla terra di Sermoneta in distretto di Roma dello storico settecentesco Pietro Pantanelli (1710-1787). Secondo lo studioso la chiesa sorse negli anni in cui la città si ribellò al pontefice Pasquale II (1050-1118) nel 1116 circa, seppure essa viene menzionata solo a partire dal 1169 in un inventario dei beni della chiesa di S. Maria Assunta e nuovamente, nel 1235, in una deposizione di testimoni per una lite tra la collegiata di S. Maria e quella di S. Pietro in Corte, dove si cita tale Angelus prior Sancti Angeli de Sermineto (Pantanelli 1911, p. 62) [ 1 ].

Interessante è l’intitolazione all’arcangelo Michele. A partire dall’VIII secolo si sviluppò, grazie alla spinta propulsiva devozionale dei Longobardi, un itinerario di pellegrinaggio che attraversava tutta l’Italia e che metteva in comunicazione i tre più grandi ed importanti centri del culto micaelico: San Michele Arcangelo sul Monte Sant’Angelo al Gargano, la Sacra di S. Michele in Val di Susa e Mont Saint – Michel in Francia (BETTOCCHI 1993, p. 216). Nel corso dei secoli, lungo la via di pellegrinaggio, sorsero diversi santuari minori dedicati all’arcangelo; parte di questo tracciato coincideva, nel Lazio, con la via Appia ed è forse questo il motivo per il quale la chiesa sermonetana venne così intitolata.

Le indagini eseguite fino ad ora non hanno sciolto le riserve sulla veridicità di quanto riportato dal Pantanelli e questo perché la chiesa ha subito, nel corso della sua storia, pesanti rimaneggiamenti che hanno stravolto l’aspetto originario dell’edificio (Barelli 1993, p. 421). Quali trasformazioni abbia quindi subito la chiesa, dall’anno di fondazione agli ampliamenti cinquecenteschi, possono essere ricavate, viste le numerose stratificazioni, solo con uno studio accurato delle murature; a dicembre 2012 si è conclusa una lunga campagna di restauri e si è in attesa della pubblicazione relativa che potrebbe sciogliere le tante questioni ancora irrisolte. L’unica notizia riguardante la consacrazione della chiesa è quindi quella riportata dal Pantanelli che narra del ritrovamento avvenuto durante i lavori di ristrutturazione commissionati dalla famiglia Caetani nel 1549, di una pergamena con l’anno di fondazione dell’edificio. La consacrazione avvenne nel 1120 per mano del vescovo di Terracina Gregorio e una targa cinquecentesca affrescata all’interno della chiesa lo ricorda [ 2 ] . Le trasformazioni operate dai Caetani riguardarono la zona del coro, la costruzione ex novo delle cappelle, di un portico antistante la facciata e la costruzione, l’ampliamento e le modifiche degli edifici annessi al corpo della chiesa, dalla sagrestia alla residenza dei canonici. Nonostante i molti rimaneggiamenti, da un’analisi della chiesa è possibile individuare due fasi edilizie medievali: una più prettamente ‘romanica’ ed una ‘gotica’.

Attualmente l’edificio appare con l’abside orientata ad ovest e presenta un impianto basilicale a tre navate ciascuna composta da tre campate coperte con volte a crociera non costolonate; la scansione spaziale è data da due file di massicci pilastri polistili con basamenti quadrati su cui insistono una coppia di arcate longitudinali a tutto sesto ed un’altra a sesto ribassato, più ampia, tagliata irregolarmente con un semplice archivolto (Arcidicono 1975, p. 59) [ 3 ].

L’articolazione spaziale della chiesa, fortemente irregolare, è dovuta o all’adattamento ad un precedente edificio pagano dedicato alla dea Maia, citato dal Pantanelli, o ad un più probabile adattamento della struttura allo sperone di roccia su cui sorge. Questo rese necessaria una definizione degli spazi particolare, peraltro ulteriormente condizionata dagli edifici circostanti preesistenti e dall’accidentalità del terreno (Manciocchi 1966, p. 167; De Sanctis 1990, p. 263) [ 4 ].

Dell’antica chiesa romanica sopravvivono due degli originari pilastri rettangolari che vennero poi inglobati all’interno dei primi due compositi, a partire dall’ingresso e che sono ancora oggi individuabili grazie alla massiccia muratura che si differenzia nettamente da quella, in pietra ben squadrata, delle lesene di rinforzo addossate successivamente [ 5 ].

Precedenti indagini, effettuate intorno al 1970, sul nucleo originario dei pilastri sembrano confermare la data di fondazione del 1120 perché si coglie ancora la sovrapposizione dei semipilastri con il regolare ricorso dei conci a taglio vivo (Arcidiacono 1975, p. 60). Sempre a questa prima fase romanica sembra essere riconducibile la facciata a capanna ed il muro laterale della navata di destra, mentre persistono dei dubbi su quello di sinistra. Il tetto originale della chiesa doveva avere gli spioventi più bassi di quelli attuali: ancora oggi è possibile scorgere lungo il paramento murario i tagli diagonali e simmetrici, frutto dei lavori di sopraelevazione della facciata eseguiti durante il cambiamento delle coperture interne delle navate [ 6 ]. Sempre sulla facciata, in alto a sinistra, vi è un piccolo protiro pensile, forse originariamente posto al di sopra del portale d’ingresso e spostato poi col successivo inserimento del portico, che può essere confrontato con quelli di S. Angelo in Formis, S. Maria in Trastevere, S. Domenico di Terracina e di S. Maria Assunta di Sermoneta (Arcidiacono 1975, p. 63) [  7 ].

La tipologia della chiesa a pilastri era molto diffusa nell’Italia centro-meridionale e vi sono molti esemplari, legati soprattutto all’ordine benedettino, datati tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII; basta ricordare S. Liberatore a Maiella, S. Maria della Libera ad Aquino, S. Pietro ad Oratorium a Capestrano, S. Maria di Compulteria in Alvignano, S. Domenico a Isola del Liri, S. Maria Assunta e S. Nicola di Sermoneta ed anche S. Pietro fuori le mura e S. Maria Maggiore a Ninfa (Bellanca 1993, p. 405).

S. Michele Arcangelo visse poi una seconda fase edilizia medievale, detta ‘gotica’, durante la quale vennero apportati dei cambiamenti che potrebbero essere legati agli interventi che l’ordine cistercense operò su tutta una serie di piccole chiese del Lazio meridionale tra XII e XIII secolo. All’interno dell’edificio è possibile riscontrare diversi elementi riconducibili in seno alla cultura dell’ordine, come ad esempio la trasformazione dei pilastri in compositi, la copertura della chiesa attualizzata con un sistema di volte a crociera ed inoltre l’ apertura degli archi trasversali a sesto acuto per separare le campate (Enlart 1894, p. 143; Bonelli 1977, p. 38). Nell’ultima campata della navata destra vi è un peduccio pensile, che doveva probabilmente inserirsi sulla sommità di una semi colonnina, e che è caratterizzato da una terminazione a tronco piramidale rovesciato con il capitello lievemente inciso con un motivo a larghe foglie schiacciate o spatiformi [ 8 ]. I motivi della colonnina e del peduccio pensile sono di derivazione borgognona–cistercense e si ritrovano impiegati in molte strutture cenobitiche dell’Italia centrale, come S. Maria di Arabona a Manoppello, S. Nicola di Sermoneta ed anche a Fossanova e Valvisciolo; ma il confronto più diretto è sicuramente con l’esemplare conservato nella collegiata sermonetana di S. Maria Assunta (Bellanca 1993, p. 410).  [ 9 ].

Murato all’interno della torre campanaria vi è un elemento murario, che sembra lo spigolo di una struttura ormai non più esistente e che potrebbe essere riferibile ad un coro quadrato distrutto poi durante l’inserimento del campanile: ad oggi persistono comunque dei dubbi sulla natura originaria di questo elemento murario. Accettando l’ipotesi che vi vedrebbe un frammento superdtite del coro quadrato e visto che la posizione dello spigolo sembrerebbe testimoniare dimensioni maggiori rispetto all’ampiezza della navata centrale, è forse possibile ritenerlo successivo alla fase originaria romanica (Barelli 1993, p.422) [ 10 ]. Questi rimaneggiamenti possono essere confrontati con quelli eseguiti all’interno di diverse chiese sermonetane come S. Maria Assunta, all’interno della quale intervennero sicuramente i Cistercensi che attuarono analoghe trasformazioni architettoniche e decorative (Bellanca 1993, p. 411).

Infine, attesterebbe l’intervento cistercense, o comunque di maestranze partecipi del loro linguaggio decorativo, anche la presenza di alcuni affreschi in un vano sottostante, in prossimità del presbiterio, al quale si accede da una scala cinquecentesca posta in fondo alla navata sinistra che sostituì il vecchio accesso, oggi murato, sul lato sinistro della navata centrale. Il rapporto tra i Cistercensi e la Marittima è attestato già dalla prima metà del XII secolo, quando attuarono una vera e propria opera di radicamento lungo la fascia pedemontana dell’Appia, che correva parallela ai Monti Lepini, sfruttando l’unico lembo di terra libero dalle paludi che aveva una continuità insediativa già dalla tardo antichità (Cancellieri 2012, p. 115). Sul finire del XII secolo le grandi abbazie di Fossanova, Casamari e Valvisciolo fiorirono e giocarono un ruolo fondamentale nel consolidamento del potere papale in un area considerata strategica dal punto di vista politico e territoriale, perché confinante con il Regno di Sicilia. I tre centri monastici divennero modello, tra il XII ed il XIII secolo, per le altre fabbriche ecclesiastiche della zona di Sezze, Priverno e Sermoneta (Pistilli 2002, p. 300). Nei pressi di quest’ultima sorgeva l’abbazia di Valvisciolo, passata ai Cistercensi tra il 1166 e il 1168, che presentava una facciata a capanna semplice, l’impianto basilicale a tre navate scandite da pilastri compositi rettangolari con archi a tutto sesto, la copertura delle volte a crociera ed un coro a terminazione rettilinea (Cristino, Rispoli 1992, p. 193). È possibile quindi riscontrare delle stringenti analogie tra l’abbazia, la collegiata di S. Maria Assunta ed il S. Michele Arcangelo di Sermoneta, analogie che testimoniano il passaggio dei linguaggi tipologici, costruttivi e decorativi cistercensi in seno alla tradizione costruttiva autoctona, volta a Roma, dalla quale scaturì un vero e proprio linguaggio edilizio locale. Valvisciolo, e con lei tutta l’area del sermonetano, dimostra quindi come il linguaggio gotico-borgognone proveniente da Fossanova, non sempre fu accolto in blocco, ma molto dipese dalla vicinanza cronologica e geografica con l’abbazia: la zona nord pontina restò comunque più legata a Roma, alla corte pontificia e alla propria tradizione locale (Pistilli 2002, p. 321). È quindi probabile che nacquero delle vere e proprie scuole regionali che utilizzarono elementi della tradizione locale unitamente alle novità borgognone-cistercensi trasmesse dall’abbazia di Fossanova: si parla quindi di una ‘scuola-cantiere’ dove le maestranze apprendevano dai monaci stessi alcuni dei loro sistemi e stilemi costruttivi da riapplicare poi nei principali insediamenti della Marittima  (Franchetti Pardo 2002, p. 265).

 

Bibliografia

Arcidiacono A. M., Due chiese francescane in Sermoneta, << Bollettino dell’Istituto di Storia e di Arte del Lazio Meridionale>>, 8 (1975), 2, pp. 57-74.

Barelli L., La chiesa di San Michele Arcangelo di Sermoneta, << Sermoneta e i Caetani: dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra medioevo ed età moderna: atti del convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta, 16-19 giugno 1993 >>, a cura di L. FIORANI , Roma 1999, pp. 421-434.

Bellanca C., La Chiesa dell’Assunta a Sermoneta, << Atti del convegno della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta, 16-19 giugno 1993 >>, a cura di L. FIORANI , Roma 1999, pp. 403-416.

Bettocchi S., Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale, << Quaderni medievali >>, 18, 1993, 35, pp. 219-224.

Bonelli R., L’edilizia delle chiese cistercensi, <>, Roma 1978, pp. 34-41. 

Cancellieri M., Tra memoria dell’antico e identità culturale. Tempi e protagonisti della scoperta dei Monti Lepini, Roma 2012.

Cristino G. Rispoli P., Ricostruzione storica dell’abbazia di Valvisciolo, << Rivista cistercense >>, 2 (1992), pp. 189-204.

De Sanctis M.L., Insediamenti monastici nella Regione di Ninfa, << Atti del colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta-Ninfa, 7-9 ottobre 1990 >>, a cura di L. FIORANI, Roma 1990, pp. 259-279. 

Enlart C., Les origines françaises de l’architecture gothique en Italie, Paris 1984, p. 143. 

Franchetti Pardo V., Architettura cistercense ed architettura degli ordini mendicanti, << Il monachesimo cistercense nella Marittima medievale. Storia e arte. Atti del convegno, Abbazie di Fossanova e Valvisciolo, 24-25 settembre 1999 >>, a cura di R. CATALDI, Casamari 2002, pp. 251-297. 

Pantanelli P., Notizie istoriche, e sacre e profane appartenenti alla terra di Sermoneta in distretto di Roma, a cura di L. CAETANI, Roma 1911. 

Pistilli F.P., Influenze dell’architettura cistercense nell’edilizia urbana della Marittima, << Il monachesimo cistercense nella Marittima medievale. Storia e arte. Atti del convegno, Abbazie di Fossanova e Valvisciolo, 24-25 settembre 1999 >>, a cura di R. CATALDI, Casamari 2002, pp. 299-324.

 

Autori

Valeria Danesi