CORI - Chiesa di Santa Maria della Trinità

Chiesa di Santa Maria della Trinità

Coordinate GPS: 41.643,12.917846

Sottoschede

Immagini


1) Largo della SS. Trinità, effetti del bombardamento del 1944 (da Quintilio Corsetti fotografo a Cori, 2000, p. 148).

2) Ss. Pietro e Paolo, facciata.

3) Ss. Pietro e Paolo, abside.

4) Ss. Pietro e Paolo, interno.

5) Porzione di un muro della chiesa di santa Maria della Trinità (ipotesi), Fototeca comunale - foto non inventariata (di Meo, 2012, p. 114).

6) Abbazia benedettina della SS. Trinità, parete perimetrale superstite (Pistilli, 2008, p. 74).

7) 7. Catasto gregoriano (1819), particolare della cellula della chiesa di santa Maria della Trinità (Il catastum bonorum di Cori (1668-1696) con un itinerario dei beni comunali (1401), 2009, pp. XXIV-XXV)

Descrizione

La chiesa di Santa Maria della Trinità era collocata nel parte alta – il monte – della città di Cori poco distante da una delle sue porte di accesso – la porta Segnina – lungo il pendio alla cui sommità si trova il tempio di Ercole; l'edificio è stato completamente distrutto nel febbraio del 1944 da un bombardamento aereo [1]. Il sito che ospitava la chiesa è oggi occupato dalla collegiata dei Ss. Pietro e Paolo, originariamente posta accanto al tempio di Ercole, qui ricostruita perché anch'essa distrutta dal bombardamento del 1944 [2-4]. L'esistenza della chiesa di Santa Maria della Trinità si conclude ufficialmente il 20 maggio 1955 con la soppressione della parrocchia e l'unione del suo territorio con quello della chiesa dei Ss. Pietro e Paolo ad opera del card. Clemente Vicara vescovo della diocesi di Velletri (ADV, Sezione I Titolo III, Parrocchia della SS. Trinità Cori).

Definire il periodo di fondazione della chiesa di santa Maria al Monte risulta complesso sia per la mancanza di testimonianze architettoniche, sia per la scarsità di documentazione scritta, grafica o fotografica. L'antico edificio infatti, a causa di gravi problemi strutturali, viene sottoposto nel 1825 a una serie di lavori di riadattamento che ne cancellano del tutto le forme originarie (ADV, Sezione I Titolo III, Parrocchia della SS. Trinità Cori – Stato della chiesa parrocchiale della Ssma Trinità della città di Cori). Nel 1932 il parroco di Santa Maria della Trinità, Antonio Pistilli, compila un questionario a lui richiesto dalla Sacra Congregazione del Concilio che illustra la storia della chiesa e ne descrive l'attuale situazione: «Nessun documento e nessuna tradizione ricorda l'epoca neppure approssimativa di questa veneranda chiesa parrocchiale, però il campanile importante per lo stile e costruzione, e demolito nell'ottobre 1926 perché fatiscente e di continuo pericolo, dall'ing. Massari dell'Ufficio Tecnico di Finanza, dal Prof. Ing. Gavini della Direzione delle Belle Arti fu stimato dell'epoca barbarica, e non certo posteriore al sec. IX; la chiesa quindi deve dirsi perlomeno contemporanea al Campanile. La chiesa in origine come apparisce da qualche piccola traccia era di stile gotico, e sui primi del sec. XIX fu trasformata in istile toscano, con intercolumnio cornicione, e soffitto piano in legno (…) il nuovo e bel campanile nel 1929 fu riedificato al posto e nello stile di quello demolito» (ADV, Sezione I Titolo III, Parrocchia della SS. Trinità Cori). L'unica testimonianza visiva finora rinvenuta dell'antica chiesa è una fotografia conservata nella Fototeca comunale di Cori (di Meo, 2012, p. 114) in cui è visibile solo un piccolo lacerto di muro [5]. La fotografia è conservata senza alcun tipo di indicazione ed è quindi solo ipoteticamente riferibile alla chiesa di Santa Maria della Trinità. Un elemento di aiuto nella correlazione tra quella foto e la chiesa può essere la descrizione di una porzione di muratura non interessata dai cambiamenti ottocenteschi che si trova in un testo sulla città di Cori del 1933: «Nelle pareti esterne della chiesa della SS. Trinità, o meglio, in quel tanto che ne rimane dopo i volgari rifacimenti apportativi, la fasce di tufi e di pietre rettangolari sono alternate con zone alte circa un metro di piccole pietre bianche quadrate, disposte a reticolato» (Accrocca, 1933, p. 37-38). A partire da questi pochi elementi, sarebbe certo necessario uno studio archeologico, si ribadisce la data di fondazione della chiesa all'epoca carolingia (di Meo, 2012, p. 114); la dedicazione è sempre univocamente riferita alla vergine e la chiesa viene al principio definita 'al monte' per via della sua collocazione nella parte alta della città.

Le notizie sulla chiesa di santa Maria al Monte aumentano nel momento in cui diviene dipendenza urbana dell'abbazia benedettina della SS. Trinità: il 26 agosto del 1227 Gregorio IX designa per il servizio della chiesa di santa Maria al Monte tre chierici del monastero della Trinità (Federici, 1904, p. 53). L'Abbazia della Trinità, il cui edificio è oggi allo stato di rudere [6], è documentata a partire dal 1114 (Caraffa, 1981, p. 139) e si trova poco al di fuori della città di Cori in una località detta 'Abbadia'. Nel 1275 papa Gregorio X incorpora la chiesa urbana al Convento, la cui attività era in continuo decadimento, e la comunità dei monaci si trasferisce nella parrocchia di Santa Maria al Monte. Nel 1288 il Convento dell'Abbadia, privo di monaci e in stato quasi di abbandono, passa con tutti i suoi beni, compresa dunque la chiesa in Cori, nella soggezione del monastero di Sant'Angelo sopra Ninfa per decisione del vescovo di Ostia e Velletri Latino Frangipani (Borgia, 1780, pp. CCCV-CCCVI; Federici, 1904, p. 72) con l'approvazione del pontefice Nicola IV. Nel 1432 il monastero di Ninfa diviene possedimento dei benedettini di Subiaco che si trovano a incorporare dunque anche le proprietà della città di Cori. A seguito di questa acquisizione nasce da parte dell'Abbazia sublacense la necessità di stilare un inventario del nuovo patrimonio che viene redatto dal monaco Placido di Leodio nel 1453 (Giammaria, 1987, p. 40). Il documento ci informa che il monastero sublacense possiede a Cori tre edifici religiosi: l'Abbazia della Trinità e le chiese di san Leonardo e di santa Maria al Monte. Di quest'ultima è possibile ricavare a partire dal testo dell'inventario una sommaria descrizione: la chiesa è affiancata da un terreno in parte coltivato a orto e in parte occupato da due case, un casaleno e un cellarium davanti al quale si trova una piazzetta dove è piantato un gelso (Giammaria, 1987, pp. 49, 51) [7].

Una più precisa descrizione della chiesa può essere tratta dalla lettura della visita pastorale del cardinale Gesualdo che si reca in Cori nel 1595 (ADV, Sezione I Titolo I, Visita pastorale Gesualdo, 1595): la chiesa è a navata unica con quattro cappelle laterali, non possiede importanti opere d'arte o suppellettili preziose e necessita di diversi lavori di manutenzione e di adattamento; anche la torre del campanile si presenta in stato di decadimento essendo le tavole della struttura 'marce e rotte'. Accanto all'edificio sacro si trova l'ospedale gestito dalla confraternita laica del Gonfalone che risulta essere titolare di una cappella all'interno della chiesa. La descrizione degli ambienti interni, degli arredi, delle suppellettili e delle icone non permette alcun tipo di datazione di quegli oggetti che risultano anch'essi quasi tutti da restaurare o da sostituire. Il testo cinquecentesco ci informa del fatto che nell'edificio è presente un tabernacolo in legno dorato privo di ogni ornamento che risulta essere molto rovinato in quanto privo del colore nelle parti laterali e deturpato alla sommità, tanto che si consiglia di ricoprirlo con un panno a forma di conopeo. Il fonte battesimale si trova sul lato sinistro dell'altare. La prima cappella è quella dedicata alla Beata Vergine del Gonfalone e risulta dalla descrizione essere la più ricca dell'intera chiesa: vi è presente un altare in marmo definito 'pulcherrimum', una croce e un candelabro d'oro e vi è dipinta sulla parete sopra l'altare un'immagine della Vergine. Segue la cappella di sant'Andrea che possiede come icona un'antica immagine del santo molto rovinata e da restaurare, l'altare risulta essere molto piccolo e lo spazio troppo angusto. La cappella di san Giacomo ha anch'essa un'immagine del santo inquadrata da due candelabri. L'ultima cappella, dedicata alla Madonna di Loreto, risulta essere in precarie condizioni in quanto è mancante di una parte del soffitto, di arredo e di suppellettili adeguate. La situazione di precarietà e di degrado in cui si trova l'edificio è certo sintomo della difficoltà, perdurata anche nei secoli successivi, di ottenere adeguati finanziamenti per la gestione della chiesa dal monastero di Subiaco proprietario della struttura e dei suoi beni. Tutti i possedimenti di Cori sono posti in locazione dall'abbazia sublacense, in uno dei contratti, datato 21 marzo 1648, la chiesa è definita per la prima volta Santa Maria della Trinità a indicare forse, secondo quanto afferma Giammaria, il totale decadimento del Monastero posto fuori della città come luogo religioso (Giammaria, 1987, p. 75). Per quanto riguarda le epigrafi presenti nell'edificio della Trinità le fonti tramandano un unico testo che era ancora leggibile nel XVI secolo, si tratta di una iscrizione posta su una tomba «hic pius Albertus christo donante sepultus virginis hic sancta matris requiescit in aula» (Da Roma, 1744, p. 96). Secondo recenti studi (Pesiri, 2013) questa iscrizione è da mettere in relazione con quella presente su un sarcofago – meglio un'urna – conservato nella chiesa di Santa Maria della Pietà per il quale si rimanda alla specifica scheda. In entrambe infatti si nomina un personaggio, Alberto, i cui resti riposano nell'aula della 'santa madre vergine'. Laurienti nella sua Historia Corana riferisce di un beato Alberto, un benedettino morto a Cori nell'ospedale del Gonfalone e poi sepolto nella chiesa di santa Maria al Monte. Casimiro da Roma, avendo come fonte il Laurienti, nel riportare il testo dell'epigrafe annota il fatto che essa si riferisce a un abate del monastero della Trinità. L'identità del personaggio è stata però messa in discussione e si è ipotizzato che potrebbe trattarsi di un eminente e venerato personaggio che viveva a Cori, forse un eremita o un importante membro di una confraternita (Pesiri, 2013). Le due iscrizioni, quella dell'urna e quella della perduta epigrafe, sono costruite con l'utilizzo dello stesso metro, l'esametro leonino, e, avendo in comune il contenuto del testo, possono essere pensate come originariamente facenti parte di una stessa struttura. La lastra con l'iscrizione perduta infatti potrebbe essere stata presente sulla copertura dell'urna oggi utilizzata come base dell'altare maggiore in Santa Maria della Pietà; considerata l'importanza del personaggio sepolto per la città di Cori le due chiese dedicate alla vergine, santa Maria al Monte dove Alberto sarebbe stato inizialmente sepolto e Santa Maria della Pietà dove le sue spoglie sono state probabilmente trasportate, si sarebbero spartite – forse contese – il suo monumento sepolcrale.

Bibliografia

A. Accrocca, Cori storia e monumenti, Roma 1933, pp. 37-40

S. Borgia, De Cruce veliterna, Roma 1780, pp. CCCV-CCCVI (rist. an. Velletri 2005-2006)

F. Caraffa, Monasticon Italiae, I, Roma e Lazio, Cesena 1981, p. 139, n. 97

Il catastum bonorum di Cori (1668-1696) con un itinerario dei beni comunali (1401), a cura di P.L. De Rossi, E. di Meo, Cori 2009, pp. XXIV-XXV, XXVIII

C. Ciammaruconi, Il primo insediamento eremitano, in Il complesso monumentale di S. Oliva a Cori. L’età romana, medievale, rinascimentale e moderna, a cura di D. Palombi, P.F. Pistilli, Tolentino 2008, pp. 45-46, 60

C. da Roma, Memorie istoriche delle chiese, e dei conventi dei Frati Minori della Provincia Romana raccolte da Casimiro da Roma frate dello stesso ordine, Roma 1744, pp. 95-97

E. di Meo, Cenere alla cenere. Storia della morte a Cori dalla sepoltura in urbem al cimitero extraurbano (secoli XVI-XX), Cori 2012, pp. 111-114

V. Federici, I monasteri di Subiaco, II, la biblioteca e l'archivio, Roma 1904, pp. XLV-XLVI, 53, 72, 95, 154, 159, 174, 184, 275

G. Giammaria, L'inventario di Guglielmo Capisacchi delle proprietà sublacensi in Marittima, «Latium» 3 (1986), pp. 199-212

G. Giammaria, Le proprietà dei Benedettini sublacensi in Cori, «Latium», 4 (1987), pp. 37-101

B. Ghigi, La tragedia della guerra nel Lazio attraverso i documenti, le testimonianze e fotografie, Rimini 1995, pp. 221 – 225, 326 – 327

P.F. Kehr Regesta Pontificum Romanorum. Italia pontificia. II. Latium, Berlino 1906, p. 108

S. Laurienti, Historia corana, 1637, Ms 4057 Biblioteca casanatense

G. Marocco, Monumenti dello Stato pontificio, V, Roma 1834, pp. 144-145

C. Mirzio, Cronaca sublacense, Roma 1885, pp. 491-493

G. Pesiri, Il pio Alberto, un beato di Cori?, in Cori nel Medioevo. Memoria e sopravvivenze, Convegno di studi, Cori – Museo della città e del territorio, 15 giugno 2013 (Atti in corso di pubblicazione)

P.F. Pistilli, Il trasferimento entro le mura. Ambrogio Massari e il santuario medievale di S. Oliva, in Il complesso monumentale di S. Oliva a Cori. L’età romana, medievale, rinascimentale e moderna, a cura di D. Palombi, P.F. Pistilli, Tolentino 2008, pp. 74, 83

Quintilio Corsetti fotografo a Cori dai primi del '900 agli anni '60, a cura di G. Ricci, Latina 2000, p. 148

A. Ricchi, La Reggia de Volsci d'Antonio Ricchi da Cora divisa in due libri dedicata all'altezza serenissima di Don Livio Odescalchi, Napoli 1713, p. 352

E. Scarnicchia, Cori attraverso i secoli, Cori 1968, pp. 24-25, 43

Autori

Ileana Pansino