TERRACINA - Convento di San Domenico
Convento di San Domenico
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Descrizione
La chiesa di S. Domenico a Terracina sorge fuori dalle mura urbiche a nord di Terracina su un contrafforte del monte Sant’Angelo. L’edificio domina la vallata dall’alto. È possibile raggiungerlo percorrendo la via di San Domenico e, naturalmente, seguendo il percorso della via Appia Antica che sale verso il tempio di Giove Anxur. (Bianchini 1952, pp. 200-201; Zander 1961, p. 319; Cavicchio 1977, pp.171-172). L'insediamento è costituito dall'edificio di culto orientato a est e dal convento situato parallelamente alla chiesa a meno di 20 metri di distanza dal suo fianco settentrionale [figg.1-4]. L'area circoscritta tra i due edifici è invasa dalla vegetazione e ciò che resta del chiostro è un corridoio parzialmente crollato e illeggibile. A nord dell'edificio del convento si apre un'ampia area indicata in pianta come “giardino”. L’intero complesso doveva essere circondato da mura (Contatore 1706, p. 344) tutt'ora conservate in discreto stato sui lati est, nord e ovest. Un quarto muro a sud doveva costeggiare il fianco della chiesa a delimitare il declivio.
Data la mancanza di fonti storiche precise è impossibile indicare con certezza l’anno di fondazione dell'edificio. L'istituzione formale del priorato data 1318, ma le origini dell'insediamento risalgono più probabilmente al secolo precedente. (Contatore 1706, p. 345; Bremond 1729-1740, vol. I, p. 264; Eubel 1913, p. 258). L'ipotesi più attendibile fa risalire la sua costruzione ad Alberto da Terracina, vescovo di Fondi che, sullo scorcio del Duecento, avrebbe ampliato delle umili e ridotte costruzioni preesistenti. La tradizione la vuole fondata dallo stesso san Domenico in viaggio verso Fondi e la Campania nel 1215- 1221 certo in forma di piccolissimo oratorio (Contatore 1706, p. 344; Zander 1964, p.41; Rech 1989, p. 43), ma non sembra plausibile; la leggenda non è corroborata da alcun avanzo architettonico di datazione così alta come non è confermata dallo storico locale Domenico Antonio Contatore nel De historia terracinensi (Contatore 1706, III, p. 344), nonché dal Padre T. Masetti O.P. in De monumentis provinciae romanae (Masetti 1864, I, p. 187).
La fondazione da parte di Stefano da Ceccano, abate di Fossanova e cardinale dal 1213 al 1227 anno della sua morte è riferita da Enlart (Enlart 1894 p.153) per le assonanze planimetriche e per le decorazioni architettoniche con le fondazioni dello stesso periodo, ma non sembra essere confortata da prove. La tesi di Enlart viene però ripresa da Attilio Rossi (Rossi 1912) che fornisce una testimonianza preziosissima, perché è l'unico a descrivere la chiesa prima degli sconvolgimenti della seconda Guerra Mondiale. L'ipotesi di Enlart riguardo la presunta fondazione da parte di Stefano da Ceccano viene ripresa anche da Serafini (Serafini 1924, pp. 35-36-58) con l’aggiunta dell’improbabile ipotesi della dedicazione della chiesa a San Domenico di Sora, santo spagnolo che aveva molta fortuna nel Frusinate e nel Reatino.
Se anche vi fu un primo oratorio la costruzione odierna si deve in gran parte ad Alberto da Terracina, vescovo di Fondi al tempo di Nicolò IV (1288-1292), il quale avrebbe ampliato le «humiles casas parvasque aedes» al dire del Contatore, che poté consultare documenti irreperibili già al tempo del restauro di Zander del 1952 (Zander 1952). Il restauro promosso dal vescovo E. Navarra che ottenne dal Ministero dei Lavori Pubblici i lavori in concessione, fu diretto negli anni 1952-1953 dal, già citato, architetto Zander sotto l'alta sorveglianza del Soprintendente dei monumenti del Lazio, Carlo Ceschi. (Zander 1964, pp. 44-46). Il progetto iniziale riguardava il rifacimento del tetto, il consolidamento e la ripresa di murature fatiscenti, la liberazione del rosone dal retrostante riempimento, il ripristino delle finestre, la sistemazione del pavimento, gli infissi. Nel 1991 Pietro Longo condusse uno scavo all'interno dell'edificio della chiesa; i risultati furono comunicati alla Soprintendenza Archeologica del Lazio nel 1992.
S. Domenico accoglie tutt’oggi i visitatori con una facciata a doppio spiovente in cui spicca al centro un grande rosone diviso da dodici colonnine e altrettanti archetti intrecciati [figg. 5-6]. La muratura è costituita da grandi bozze irregolari di calcare compatto di colore bianco-rosato. Questo tipo di apparecchiatura è tipico della locale edilizia abitativa, in particolare del ceto medio, se ne riscontra la presenza a Terracina e a Priverno tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV secolo (De Minicis 1999, pp. 166-169).
Al di sopra dell'unica porta architravata si apre una lunetta sormontata da un protiro pensile su colonnine (Rech 1989, p. 45; Zander 1964, pp. 41-46; Rossi 1912, pp. 112-113). È probabile che vi fosse anche un portico stando a vedere la risega che corre lungo tutta la facciata e il filare di pietre sporgenti che forse servivano per l'incasso del tetto (Zander 1964, pp. 41-46). Nel corso del XVIII il prospetto fu interessato da lavori tra cui quello del campanile che vide la sostituzione del un campaniletto a vela trecentesco di cui ricordiamo la data “1334” inscritta nella campana, recuperata da Zander prima dei restauri da lui diretti negli anni Cinquanta (Zander 1952, p. 46). Alla sinistra del transetto si affianca il corpo della sagrestia caratterizzato da una bifora piatta e dalla porta di accesso con architrave monolitico in pietra calcarea (Zander 1952, p. 41).
Ad oggi l'interno si presenta privo di arredi, le pareti sono state coperte da uno spesso strato di intonaco con grave danno per la lettura delle pitture che dovevano trovarsi in controfacciata e nel coro (Rossi 1912, pp. 112-113). Una vasta navata unica si espande in un transetto poco emergente, su cui si affacciano il coro rettilineo e due cappelle laterali a pianta quadrata [fig. 7]. A sinistra la sagrestia che si affianca al transetto è a pianta rettangolare coperta a crociera (Rech 1989, p. 46; Zander 1964, pp. 41-46). In navata si aprono due cappelle rettangolari coperte da una volta a botte a tutto sesto. Mentre il coro e le cappelle sono coperte da volte a crociera (cui corrispondono i contrafforti all'esterno) [figg. 10-12], la navata e il transetto hanno una copertura a tetto a due falde con incavallatura di legno a vista poggiante su mensoloni.
Interventi avvenuti in secoli successivi hanno aggiunto l'oratorio a sinistra e le due cappelle che precedono il transetto (Zander 1964, p. 46). Queste ultime falsano la lettura dell'edificio originario che aveva la tipica forma a T dell'architettura degli edifici mendicanti. La planimetria della chiesa rispecchia infatti il tipo di chiesa ‘a capannone’, elaborato nel S. Francesco di Cortona, diffusosi a partire dalla seconda metà del XIII secolo nell'area umbro-toscana e arrivato verso la fine del Duecento nell'Italia centro-meridionale, dove la preponderanza volumetrica del coro, coperto da volte a crociera, fa da contrappunto alla semplice aula rettangolare con tetto a vista (Villetti 2003, pp. 63-68). Nell'Alto Lazio le chiese domenicane di XIII e XIV secolo, come la chiesa di S. Domenico a Rieti, presentano significative analogie con la fondazione terraciniense (Cadei 1983, pp. 25-28). La chiesa reatina infatti presenta un'unica navata coperta a tetto con capriate originariamente in vista, pseudo transetto e terminazione absidale con cappella maggiore affiancate da due minori per parte, con la parete di fondo piatta e copertura in volte a crociera costolonate (Villetti 2003, pp. 215-218).
In particolare però, il tipo di planimetria osservato in S. Domenico presenta una certa affinità con il S. Agostino di Carpineto, edificato probabilmente nella seconda metà del XIII secolo (Campagna 1986, pp. 14-22; Parziale 2007, pp. 143-146). Il prospetto del coro verso la navata è confrontabile con gli esempi di chiese-fienile, laddove il rapporto delle tre cappelle con lo spazio della navata mediante l'apertura di un triplice arco dà origine sul lato del coro ad un motivo unitario (Schenkluhn 2003, pp. 65-71; Villetti 2003, pp. 63-68; 105, 108).
Sulla parete in controfacciata, a sinistra dell'apertura, rimane un lacerto di pittura. Dando le spalle alla porta d'ingresso, sulla parete nord a breve distanza dalla controfacciata, si incontra un'apertura ad arco a tutto sesto che dà accesso a uno spazio che era stato adibito per le pubbliche scuole (progetto del 1815).
La lunghezza complessiva dell'edificio di Terracina è di m 34,12; la navata centrale misura m 11,6 di ampiezza e la sua lunghezza dall'ingresso della chiesa alla soglia delle cappelle del presbiterio è all'incirca di m 25 (Patta 2005-2006, p. 91). Il coro risulta essere molto più alto rispetto l'entrata della chiesa; lo stessa sopraelevazione del coro si può riscontrare anche nella chiesa dell'abbazia di Valvisciolo presso Sermoneta (De Sanctis 1999, pp. 435-438); per ciò che concerne la chiesa terracinese tale dislivello oltre ad essere sicuramente condizionato dalla andatura del terreno, venne forse adottato nella chiesa domenicana per i valori scenici che essa comportava, cioè per mettere in evidenza il fondale luminoso del coro che rappresenta un dato ricorrente nell'edilizia sacra degli Ordini Mendicanti (Romanini 1978, pp. 5-12).
Per quanto concerne la plastica architettonica in S. Domenico gli archi sono evidenziati da ghiere a doppio rincasso di conci calcarei ben squadrati e rifiniti; i piedritti sono movimentati dalla presenza di colonnine addossate, in origine in numero di otto, una coppia affrontata in ciascuna cappella e due ai lati dell'arco centrale (Patta 2005-2006), ma attualmente delle due collocate nella cappella maggiore rimangono solo le basi [figg. 8-9]. I fusti lunghi e sottili divisi in blocchi curvilinei, le basi con un toro appena rilevato, i capitelli a tronco di piramide rovesciato e l’abaco modanato rivelano la vicinanza con Fossanova sia per la matrice stilistica così come per la tecnica della messa in opera, che prevede il montaggio dei singoli elementi in uno con il paramento di blocchetti della parete. Le colonnine sono in realtà delle semicolonne particolarmente rilevate, e insieme ai capitelli scolpiti a bassorilievo piatto con foglie di vite dai lunghi tralci, elegantemente stilizzate, che rimandano al simbolo mistico della Vera Vite e alla tematica eucaristica, ricordano gli omologhi visti nella navata laterale sud dell'abbazia cistercense, frutto della rielaborazione del modello borgognone operata dai marmorai locali. Inoltre, il prospetto del coro, con i suoi archivolti a doppio rincasso su pilastri cruciformi, ricorda la partizione vista nella zona bassa della facciata del Palazzo Comunale di Priverno, che riproduce con minime differenze il sistema di alzato elaborato dagli architetti dell'Ordine al principio del Duecento per le pareti interne della navata maggiore dell'abbazia di Fossanova (Pistilli 2002, pp. 307-309).
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Autori
Guendalina Patrizi