NINFA

NINFA

Coordinate GPS: 41.582214,12.955364

Sottoschede

Immagini


1) Pianta della città.

2) Casa a più livelli (foto Autore).

3) Torre (foto Autore).

4) Mulino (foto Autore).

5) Ospedale di S. Matteo (foto Autore).

6) Ospedale Le Mancinole (foto Autore).

7) Ponte del Macello (foto Autore).

8) Cinta muraria (foto Autore).

Descrizione

Il castrum di Ninfa sorse in epoca romana a ridosso della via Appia, non lontano dalle stationes di Tres Tabernae e Forum Appii. Fu intorno all’inizio dell’VIII secolo che la cittadina, da piccolo borgo agricolo divenne un vero e proprio centro abitato. Anche i traffici, in concomitanza, si spostarono più verso l’interno a causa dell’abbandono della via Appia per l’avanzare della palude pontina (Cancellieri 1986, pp. 143-156).

Alla metà dell’VIII secolo l’imperatore Costantino V Copronimo (718-752) donò l’area ninfesina, di proprietà demaniale, a papa Zaccaria (741-752). Il pontefice, nonostante i rapporti burrascosi con l’imperatore, fautore della politica iconoclasta, ricevette in dono da quest’ultimo le terre di Ninfa e di Norma in segno di riconoscenza per aver interceduto presso il re Liutprando, affinché l'Esarcato di Ravenna venisse preservato dall’avanzata longobarda (Caciorgna 1990, p. 39).

Tra il X e l’XI secolo i potentissimi Conti di Tuscolo si impadronirono di Astura e del monte Circeo e ben presto presero possesso anche di Ninfa, occupandola e formando così un importante territorio strategico a sud di Roma.

Soltanto agli inizi del XII secolo tuttavia la Chiesa tornò a far valere la propria autorità; papa Pasquale II (1099-1118), nonostante fosse stato eletto grazie all’appoggio dei Conti di Tuscolo, riuscì a riportare Ninfa sotto il proprio controllo (Delogu 1990, p. 21). Il possesso venne esercitato attraverso il Pactum Ninfesinum, che concedeva la città e il suo territorio alla stessa comunità che vi risiedeva. Questa disposizione del 1116 imponeva agli abitanti della città il giuramento di fedeltà alla Chiesa, il rispetto di alcuni vincoli economici e l'obbligo di abbattere le mura di cinta, al fine di evitare che in futuro qualche fazione avversa all'autorità della Chiesa potesse di nuovo prendere il controllo della città.

Ai Conti di Tuscolo si avvicendarono i Frangipane grazie a papa Eugenio III (1145-1153), che delegò i nuovi proprietari del controllo di Ninfa e di tutte le tenute nella provincia di Marittima (Caciorgna 1990, p. 42). Ma le scelte politiche dei Frangipane costarono parecchio alla città e gli effetti si videro all’indomani dello scisma papale del 1159-1178 (Caciorgna 1990, p. 43) che portò all’elezione di due papi, il senese Alessandro III sostenuto dalla Curia cardinalizia e dai Frangipane, e il romano Vittore IV sorretto dall’imperatore Federico Barbarossa (Caciorgna 1990, p. 54). Appena eletto, Alessandro III fuggì da Roma e fu accolto da Oddone Frangipane a Ninfa, dove venne incoronato papa il 20 settembre 1159 nella chiesa di S. Maria Maggiore. A questo punto Federico Barbarossa entrò in città, saccheggiandola e distruggendola con un incendio nel 1171. A complicare la situazione si aggiunsero i debiti che i Frangipane contrassero con la famiglia Paparoni, per i quali impegnarono i proventi spettanti dalle rendite dei terreni e dei diritti giurisdizionali.

Agli inizi del XIII secolo, Ninfa era di nuovo sotto il controllo della Chiesa. Nel 1213 infatti, papa Innocenzo III (1198-1216) conferì l'amministrazione a suo nipote Giacomo Conti. Questi nel 1215 ricevette il giuramento di fedeltà da parte dei consoli e degli abitanti della città e pochi anni dopo, nel 1227, Gregorio IX (1227-1241) ne riconfermò l'amministrazione (Delogu 1990, p. 25; Spiccia 2004, p. 143).

Sul finire del Duecento la città passò prima agli Annibaldi grazie alla nomina di Riccardo Annibaldi della Molara a cardinale e rettore della Campagna e della Marittima (Caciorgna 1996, p. 109) e alla sua morte, nel 1274, ai Colonna.

Nel 1294 salì al soglio pontificio Bonifacio VIII (1294-1303) della famiglia Caetani, acerrima nemica della casa Colonna e originaria proprio del Lazio meridionale. Il nuovo papa si impadronì subito della Torre delle Milizie a Roma, che fronteggiava l'insediamento romano dei Colonna, e dell'Isola Tiberina, mentre nel Lazio meridionale garantì ai propri familiari importantissimi feudi non più sotto forma di concessione bensì di vere e proprie acquisizioni. Il loro dominio si attestava dunque su tutto il Lazio meridionale, dai Monti Lepini, Ausoni e Aurunci fino al mare. Nodo chiave di questa strategia di acquisizioni fu il castello di Capo di Bove sull’Appia, vero e proprio punto di raccordo tra i possedimenti della Marittima e Roma.  

A Ninfa, nonostante i due atti comunali in favore del cardinale Pietro Colonna, i Caetani iniziarono le acquisizioni già all'inizio del 1297. I Colonna vennero messi presto a tacere con la bolla Lapis abscissus del 1297, in cui si sanciva la scomunica dei cardinali Pietro e Giacomo, nonché la confisca di tutti i beni della Casa (Carbonetti-Vendittelli 1998, p. 19).

Le prime proprietà della Marittima a passare in mano al conte di Caserta Pietro II Caetani, nipote di Bonifacio VIII, furono i castelli (già degli Annibaldi) di Sermoneta, Bassiano e San Donato (Caetani 1927-1933, p. 46). A Ninfa, tutti i piccoli proprietari furono invitati da Pietro II a vendere o a donare ai Caetani le proprie quote di diritti di proprietà. Le operazioni furono lunghe e laboriose (Carbonetti-Vendittelli 1998, p. 21 e ss.), vista la complessità della suddivisione del territorio, tanto da durare ben quattordici mesi, dal 30 giugno 1297 all'8 settembre 1298. Dopo l'acquisto dei beni comunali e la nomina di Bartolomeo di Tagliacozzo a procuratore, il 2 ottobre del 1300 Bonifacio VIII cedette in feudo perpetuo al nipote Pietro II e ai suoi discendenti di linea maschile tutti i diritti, i beni e le ragioni della Santa Sede nel castello di Ninfa e nel suo territorio. Il 10 ottobre Pietro II ricevette l'investitura del feudo, dopo aver prestato giuramento di fedeltà e vassallaggio. Una bolla pontificia, emessa il 22 aprile del 1301, sanciva a livello giuridico l'infeudazione e la proprietà del territorio di Ninfa a beneficio di Pietro II (Waley 1973, pp. 215-217).

Diversi furono i lavori intrapresi da Pietro II tra i quali l’innalzamento del muraglione della diga, la ristrutturazione della rocca e il consolidamento delle mura dell’intera città. Va infine annoverata la costruzione di due nuovi mulini e di due ospedali, l'uno denominato S. Matteo e l'altro Le Mancinule (Tomassetti 1979, p. 382). Un'altra importante costruzione di quest'epoca è il palazzo comunale, situato nei pressi del castello. L'edificio era anch'esso sicuramente preesistente all'arrivo di Pietro II, poiché le fonti letterarie lo menzionano come il luogo in cui fu redatto il documento che sancì la fine del libero comune di Ninfa a favore della signoria Caetani (Caetani 1927-1933, p. 67).

Alla morte di papa Bonifacio VIII, tutte le proprietà della famiglia, sia a Roma sia nelle province di Campagna e Marittima, subirono pesanti attacchi. A Roma i Colonna ripresero possesso dei beni di famiglia a loro revocati mentre gli Annibaldi, appoggiati dai Colonna, mossero guerra ai Caetani, con l'intento di recuperare tutti i domini della Marittima che avevano venduto a Pietro II, compresa Ninfa che fu nuovamente saccheggiata (Caetani 1920, p. 76).

Ma i Caetani recuperarono il controllo su Ninfa grazie all’appoggio dato al re di Napoli, Roberto d’Angiò: nel 1314 Roffredo III e Benedetto III, figli di Pietro II, furono nominati rettori di Campagna e Marittima, incarichi che permisero ai Caetani di ripristinare il controllo sulla cittadina (Caetani 1920, p. 98).

Nel 1317 la famiglia Caetani decise di suddividere i beni: Ninfa, Sermoneta, Bassiano, Norma, San Felice, Sgurgola, la Torre delle Milizie a Roma e le proprietà nella Tuscia furono assegnate a Benedetto III, conte palatino che a sua volta li suddivise nel 1355 tra i suoi due nipoti, Giovanni e Nicolò; Ninfa fu assegnata a Giovanni. Tuttavia, il declino dei conti Palatini portò al passaggio di Ninfa al ramo dei Caetani di Fondi attraverso il contratto di compravendita stipulato nel 1369 nel monastero di Valvisciolo, alla presenza dei Palatini e di Giacomo Simone de Magistro, procuratore di Onorato I, conte di Fondi (Spiccia 2004, p. 134).

Nel frattempo papa Urbano VI (1378-1389) scomunicò Onorato I e lo privò di tutti i beni facendo sì che i Caetani Palatini si riappropiassero di Ninfa non riconoscendo a Onorato I nessun diritto. Tutto ciò portò a una guerra tra le due fazioni, in seguito alla quale, nel 1381 la città fu completamente distrutta, rasa al suolo e abbandonata a se stessa.  

A partire dal XV secolo, Ninfa perse completamente la sua connotazione urbana. Nel 1457 i Caetani decisero di installare una ferriera, che fu completata solo nel 1471, ma che già nel XVII secolo era scomparsa; anche il castello nel frattempo era divenuto una sorta di prigione.

Nel 1499, papa Alessandro VI Borgia (1492-1503), con un colpo di mano, dichiarò i Caetani ribelli e li privò di tutti i loro feudi, restituiti poi nel 1504 da Giulio II (1503-1513) con la bolla Romani Pontificis Providentia.

A metà del XVI secolo il cardinale Nicolò III Caetani volle che nella città sorgesse un giardino. Il lavoro fu realizzato dall'architetto Francesco Capriani da Volterra, il quale recinse un’area (oggi detta Hortus conclusus) cui si accedeva tramite un portale di travertino. Su quest'ultimo venne scolpito lo stemma della famiglia con l’iscrizione Horti Nympharum Domus Caetanorum (Carbonara 1990, p. 223 e ss.).

Con la morte di Nicolò (1585) anche le poche attività economiche sopravvissute a Ninfa iniziarono a declinare. Intorno al 1640, restavano in vita solamente i mulini da farina e la gualchiera (Grègoire 1990, p. 160).

Nel 1765, il duca Francesco V volle trasformare il palazzo comunale, ormai in rovina a causa dell'incuria, in una casa moderna con un granaio annesso e fece costruire una piccola chiesa dedicata alla Vergine, contemporaneamente ai lavori di bonifica che papa Pio VI (1775-1799) iniziò nelle paludi pontine (Gabrieli 1990, p. 325).

Solo all'inizio del Novecento, Gelasio Caetani diede vita al recupero della rocca, delle mura e del palazzo comunale adoperandosi nel trasformare la città in un giardino. Alla sua morte, l'opera venne proseguita da suo fratello Roffredo, duca di Sermoneta, che lasciò alla moglie Marguerite e alla loro figlia Lelia, ultima erede, il compito di dare forma al nascente giardino (Gabrieli 1990, p. 328).

Di fatto tuttavia, gli interventi novecenteschi hanno ridotto tutte le imponenti sopravvivenze medioevali di Ninfa a semplice scenario: mura, campanili e torri fanno da quinta al lussureggiante rigoglio vegetale.

A Ninfa sono ricordate numerose chiese e pochi conventi [Fig. 1]. Alcune di queste sono state identificate (S. Biagio, S. Giovanni, S. Maria Maggiore, S. Paolo, S. Pietro fuori le mura, S. Salvatore) mentre per le altre si hanno per ora soltanto notizie dalle fonti: S. Angelo, citata nel 1262 (Tomassetti 1979, p. 472); S. Clemente, con annesso monastero, menzionata nel 1349 (Tomassetti 1979, p. 465) e considerata forse fuori le mura; S. Eufemia con l’annesso monastero (Hadermann-Misguich 1986, p. 48); S. Leone, S. Martino, S. Parasceve, citate nel sec. XIV (Tomassetti 1979, p. 464); S. Vinenziano, citata nel 1349 (Tomassetti 1979, p. 465) e infine S. Quintino (Hadermann 1986, p. 48).

Nei pressi delle mura della città sorsero, inoltre, due monasteri: quello di Marmosolio, un complesso bendettino realizzato tra la fine dell’XI secolo e l’inizio del XII (Bonadonna Russo 1987, p. 65 e ss.), e quello di S. Maria di Monte Mirteto, fondato nel 1216 e adiacente a una grotta che nel corso del XII secolo divenne meta di pellegrinaggi e di devozione da parte delle popolazioni vicine, tanto da essere trasformato in un vero e proprio santuario, dedicato nel 1183 all'arcangelo Michele (Grègoire 1990, p. 154).

Dai documenti risulta che in totale Ninfa possedeva, oltre al palazzo comunale e al castello, circa centocinquanta case [Fig. 2], più o meno modeste, costruite in piccoli conci di tufo e talvolta in pietra calcarea locale, generalmente a due piani, con solai lignei e di rado voltate; circa dieci erano le torri delle famiglia più illustri [Fig. 3], alcune eseguite in muratura a sacco con paramento in tufelli, una delle quali si erge nelle vicinanze della chiesa di S. Giovanni (Carbonara 1990, p. 227).

Intorno al 1110 sono menzionati alcuni mulini [Fig. 4] (Marchetti Longhi 1967-1968, p. 11) e due ospedali: S. Matteo [Fig. 5] e un altro detto Le Mancinule [Fig. 6]; molte dovevano essere anche le fontane, di una delle quali è stato tramandato anche il nome: la Calcarella (Caetani 1920, p. 120).

Dei numerosi ponti, a una o due arcate, in parte oggi ancora visibili, alcuni presentano una struttura d’età romana, con ghiere a tutto sesto in conci di pietra calcarea ben squadrata, sormontata da aggiunte di età medievali. Tra questi il ponte detto Romano e quello del Macello [Fig. 7], a due fuochi, il cui nome è legato alla distruzione della città ad opera di Federico Barbarossa.

Le mura, di certo esistenti già agli inizi del XII secolo, furono demolite da Pasquale II nel 1110 per essere ricostruite poco dopo e ridistrutte durante l’assalto di Federico Barbarossa alla città nel 1171 (Carbonara 1990, p. 228). L’opus incertum con pezzame irregolare lascia intravedere un’esecuzione molto affrettata, probabilmente legata ai diversi episodi storico-politici che si avvicendarono in quel periodo [Fig. 8] (Torraca 1990, p. 287)

Le mura contavano numerose turricellae, undici delle quali ancora esistenti e almeno sei porte di cui non restano tracce. In alcuni punti le porte erano protette da un doppio giro di mura, che contribuiva a creare, davanti a ognuna di esse e per una notevole estensione, una sorta di recinto chiuso e ben controllato.

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Autori

Antonio Iommelli